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Archive for marzo 2008

>Maurizio Sacconi, legge 30 e PD

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>LEGGE BIAGI. SACCONI ‘CONTENTO’: IL PD HA CAMBIATO IDEA
‘SPARITA L’ABROGAZIONE DAL PROGRAMMA, DA PDL EGEMONIA POLITICA’

(DIRE) Bologna, 18 mar. – Pur avendo “egemonizzato il Partito democratico” sulla legge 30, il Pdl non canta vittoria. Anzi, suona la carica: “Ora pochi sono contrari alla legge Biagi, pochi
sono per la legge Biagi”, dice il senatore azzurro Maurizio Sacconi alla conferenza stampa ad hoc convocata a Bologna alla vigilia della commemorazione del giuslavorista ucciso.
Appuntamento che diventa anche occasione per sviscerare una proposta del centrodestra: detassare il lavoro attraverso un imponibile del 10% su tutte le parti variabili del salario, come
ad esempio gli straordinari, lasciandole al tempo stesso fuori da altri conteggi del reddito personale. Un’idea che troverebbe copertura con 150 milioni sommati all’emersione garantita dalla bassa tassazione dei fuori busta (a confronto dell’attuale 33%).
E da un maggior ricorso all’aumento delle parti variabili del salario rispetto a quelle fisse. A conti fatti dunque una contromisura al reddito minimo garantito targato Pd. Una proposta
assolutamente negativa, spiega l’economista e candidato del Pdl in Emilia-Romagna Giuliano Cazzola, “attraverso una politica di incentivi e tutele si arriva alla ‘soluzione finale’: si finisce per distruggere posti di lavoro”.
I candidati del centrodestra vogliono disegnare il “quadro” di applicazione della legge. “Il modo migliore di onorare Marco ogni anno- sottolinea Sacconi- e’ di non lasciare una norma fredda, ma
fare il punto sulla sua attuazione”.
E ci sono ancora molte cose che non vanno. “La Borsa del lavoro- spiega l’ex sottosegretario del governo Berlusconi- si e’ fermata a meta’ strada, i servizi privati non sono ancora fioriti”. Scarseggiano gli uffici di placement nelle universita’, mentre “le scuole superiori non ci stanno ancora pensando”. Poi “e’ stato cancellato il lavoro intermittente”, il part time e’ sottoutilizzato e la formazione “di fatto non c’e'”.
Nonostante tutte queste mancanze (l’assunto di fondo di Sacconi e’ che “la legge ha bisogno di essere implementata”) il centrodestra vanta una vittoria tutta politica sul centrosinistra. E lo fa scomodando la categoria gramsciana di egemonia. “Abbiamo espresso egemonia politico-culturale sul Pd- afferma Sacconi– se penso che il Partito democratico ha tra gli azionisti di riferimento il gruppo dirigente della Cgil, non posso che essere contento che non si parli piu’ nel programma di
abrogazione della legge Biagi”. Insomma, ribadisce il senatore uscente “il tempo e’ stato galantuomo: se penso al programma dell’Unione del 2006, l’abolizione della legge Biagi, c’era“.
A Cazzola l’onere di far due conti. In dieci anni (dal pacchetto Treu 1997 all’applicazione della legge 30) in Italia 2,5 milioni di posti in piu’ di cui 1,9 milioni di a tempo indeterminato e 600 milia di lavoro a termine. In termini percentuali, la crescita dei cosiddetti precari e’ stata,
rilevante solo in agricoltura, con 5-6 punti in piu’.
Bassa invece la crescita dei precari nell’industria (piu’ 0,1%) e nei servizi (1,5-2%), dove la pubblica amministrazione ha utilizzato le nuove forme contrattuali per sopperire ai blocchi delle assunzioni. Questi numeri, suggerisce Cazzola, aiutano “a smentire un luogo comune. Quello che attribuisce alla legge Biagi tutte le colpe del mercato del lavoro”. Anche contare il numero delle teste precarie, dice l’economista, e’ molto difficile. Inizialmente l’Inps ne censiva “tre milioni e mezzo, ora ne conta 1,8 milioni”, perche’ e’ cambiato il metodo di rilevazione. Tirando le somme siamo di fronte a “400 mila (rilevazione Cnel) a 600 mila (per la Cgil) persone fisiche”. Dunque “siamo in presenza di un settore importante- conclude Cazzola- ma piu’ limitato rispetto posizioni iniziali”.

Written by eneaminghetti

marzo 18, 2008 at 4:15 PM

Pubblicato su 30, biagi, democratico, legge, partito, pd, pdl, sacconi

>Cartello elettorale, partito unico o soggetto unitario?

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> Domani Bertinotti presenta sede Sinistra Arcobaleno

Da domani la Sinistra Arcobaleno avrà un punto di riferimento nazionale per la campagna elettorale e oltre. La nuova sede si trova nel centro di Roma, in via Liguria al n. 7, e per la ‘vernice’ ci sarà il candidato premier, Fausto Bertinotti, che nell’occasione presenterà l’iniziativa delle “Case della Sinistra Arcobaleno”, ovvero le sedi della nuova formazione politica della sinistra che a decine stanno sorgendo un po’ in tutta Italia.

Ferrero: “La Sinistra-L’Arcobaleno è un progetto politico”

La Sinistra-l’Arcobaleno non è un cartello elettorale ma un progetto politico“. Lo afferma a Forlì il ministro Paolo Ferrero, rispondendo alle domande dei cronisti sulla natura del partito della sinistra. “Poi- aggiunge- si può discutere se debba diventare una partito unico oppure una federazione, soluzione per cui io protendo. Quello che conta, però, è che bisogna costruire una casa della sinistra in cui ciascuno sieda comodo con i propri convincimenti e organizzato in modo democratico”.

Written by eneaminghetti

marzo 17, 2008 at 3:57 PM

>Con che coraggio?

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>Caro D’Alema:
1) prima umili i serbi e poi chiedi la loro “influenza” per calamare le acque.
2) sostieni che le forze italiane si muovono nell’ambito e nel rispetto della risoluzione 1244 quando TU, riconoscendo l’indipendenza del Kosovo e appoggiando la missione UE EURLEX, hai violato tale risoluzione.
Con che coraggio?

Apc-*NE/ KOSOVO, D’ALEMA:BELGRADO USI SUA INFLUENZA SU SERBO-KOSOVARI
“Grande preoccupazione”, incaricato d’affari serbo alla Farnesina

Roma, 17 mar. (Apcom) – Dopo i fatti di Mitrovica, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema esorta i serbi del Kosovo a “evitare ogni forma di violenza e ad accogliere l’invito al dialogo
formulato dalle Nazioni Unite presenti sul terreno”. Al tempo stesso, come riferiscono dalla Farnesina, il capo della diplomazia italiana “invita le autorità di Belgrado a usare la
loro influenza” perché i serbo-kosovari agiscano “responsabilmente e pacificamente”. Un messaggio in tal senso, a quanto si apprende, è stato trasmesso all’Incaricato d’Affari di
Serbia a Roma, ricevuto stamattina da D’Alema al ministero degli Esteri.

D’Alema esprime “grande preoccupazione” per gli incidenti che si sono verificati nel nord del Kosovo. E “condanna fermamente tali gravi episodi”, rivolgendo un “appello perché vengano
ripristinate le necessarie condizioni di ordine e calma a Mitrovica Nord”. Il vicepremier ribadisce “il pieno sostegno dell’Italia alle missioni Unmik e Kfor e al loro impegno volto a mantenere ordine e sicurezza in tutto il Kosovo, in linea con la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza”.

Written by eneaminghetti

marzo 17, 2008 at 1:53 PM

Pubblicato su d'alema, esteri, kosovo, onu, serbia

>PRC. Polemiche sulle liste e candidature.

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Sciopero della fame per difendere una tuta blu

di Erika Dellacasa

su Corriere della Sera del 08/03/2008

Il segretario del Prc della Liguria

GENOVA — «Ho iniziato lo sciopero della fame mercoledì perché la Sinistra Arcobaleno non aveva neanche un operaio come testa di lista e continuerò lo sciopero fino alle estreme conseguenze». Così Giacomo Conti segretario ligure di Rifondazione protesta contro la mancata conferma alla Camera di Sergio Olivieri, operaio della Termomeccanica della Spezia. A Conti, che ha lanciato l’appello per far rientrare Olivieri nelle liste, non basta il gesto di Diliberto in favore del lavoratore della Thyssen. «Bene per i Comunisti italiani — dice — ma non posso tollerare che il mio partito non senta la necessità di rivedere certe scelte banditesche. Via gli operai avanti i funzionari. C’è un grave problema di democrazia interna». L’esclusione di Olivieri, poi, fa sì che il Prc non abbia in Liguria neanche un candidato sicuro: «Questa è macelleria politica» accusa Conti. Edoardo Sanguineti, già candidato sindaco di Genova per la sinistra, e don Gallo hanno scritto a Bertinotti chiedendogli una «credibile candidatura» per Olivieri e ricordandogli che «proprio a Genova la questione operaia è emersa in tutta la sua gravità».

Giordano e Ferrero, “lite” sul digiuno del compagno Conti

di GIO. M.

su Il Secolo XIX del 09/03/2008

Il leader di Rifondazione duro contro il segretario ligure: «È indegno ciò che fai». Il ministro: «Toni eccessivi»

GENOVA. La segreteria nazionale di Rifondazione non cambia le liste della Sinistra Arcobaleno in Liguria. Il partito di Bertinotti e Giordano, quindi, non avrà nessun parlamentare eletto tra La Spezia e Imperia. Il tentativo del segretario regionale Giacomo Conti di far cambiare le cose attraverso lo sciopero della fame (oggi al quinto giorno) è quindi fallito.
Anzi, ieri Conti ha dovuto registrare la durissima censura del suo segretario nazionale: «Nel nostro partito il dibattito è libero e il dissenso, anche quello più estremo, è non solo lecito – ha detto Franco Giordano – ma un valore. Ma la delegazione del Prc nella lista della Sinistra Arcobaleno ha rispettato i criteri di rinnovamento posti dal comitato politico nazionale. Si può non essere d’accordo, ma parlare come fa Conti di una “operazione banditesca” messa in atto da una parte della segreteria è non solo falso, in quanto mette in discussione l’unità del gruppo dirigente nazionale, ma anche indegno, perché ne vuole colpire l’onestà politica contermini, questi sì, che andrebbero banditi dal confronto. Riteniamo le espressioni di Conti incompatibili con la cultura politica del partito».
Conti reagisce: «Consiglierei a Giordano di non ascoltare solo le proprie parole, ma anche quelle degli iscritti del territorio. Se qui si pone un problema sulla formazione delle liste, prima di dire che c’è una frattura in Prc, mi chiederei se l’ha fatta il segretario regionale ligure o una segreteriana-zionale che è sorda alle istanze del mondo sociale e dei territori dove si costruisce il progetto della sinistra».
Conti parla di un «problema di democrazia nel partito» e chiede un congresso nazionale subito dopo le elezioni e invita Giordano «a un attivo degli iscritti che può essere convocato già la prossima settimana». Al suo fianco, l’operaio deputato uscente e non più confermato Sergio Olivieri, che cerca di «superare» l’incidente accettando comunque di essere messo in unabrutta posizione di lista: «Ora pensiamo a ottenere il miglior risultato, poi discuteremo». Quindi l’invito a Conti per tornare a cibarsi (ha perso 5 chili). Un appello che arriva da giorni dapiùparti, apartire dal capogruppoin Regione Marco Nesci, dalla sua parte.
L’appello più pesante è comunque firmato dal ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrerò: «Giacomo è uno splendido compagno e la radicalità con cui sta affrontando il nodo delle candidature operaie è l’espressione della sua passione politica e morale. Lo invito però a porre fine allo sciopero della fame che non è e non può essere lo strumento attraverso cui aprire la discussione politica sulle scelte fatte sulle candidature. E invito tutti (quindi anche Giordano, ndr) ad abbassare i toni della polemica. La discussione su questi nodi dovrà essere fatta dopo le elezioni, ma oggi è il tempo di rimboccarsi le maniche e di impegnarsi nella campagna elettorale».

Written by eneaminghetti

marzo 13, 2008 at 8:35 am

Pubblicato su elezioni, giordano, prc, rifondazione

>Veltroni: non ci sara’ pareggio, ne’ Grande Coalizione

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Vedremo…

fonte: rainews24

Non ci sarà pareggio, il Pd vincerà le elezioni. Ne è convinto il leader di Pd Walter Veltroni che ribadisce il concetto oggi in un’intervista pubblicata sui quotidiani veneti del gruppo Espresso. “Io non credo in un pareggio – dice Veltroni – il Pd si batte per raggiungere un successo. Ora siamo gia al testa a testa. Ma in tutti i casi lo ripeto: insieme vanno scritte le regole, il governo è cosa diversa, i due schieramenti hanno idee e programmi alternativi e non ci saranno grandi coalizioni”.

Written by eneaminghetti

marzo 7, 2008 at 2:05 PM

>Il "merito" di Ichino

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>Da Resistenze.org.

www.resistenze.org – proletari resistenti – lavoro – 28-02-08 – n. 217

Il “merito” di Ichino
Domenico Moro
Recentemente si è saputo che la Nokia sposterà la sua produzione tedesca di cellulari in Romania. Quasi contemporaneamente il Financial Times ha rivelato che la produttività dei lavoratori tedeschi è quasi cinque volte quella dei romeni, quasi 50 dollari all’ora contro circa 12. Leggendo tali notizie, emerge la evidente contraddizione tra questi fatti e la polemica che Andrea Ichino da tempo porta avanti dalle pagine dei maggiori quotidiani italiani, come il Sole 24ore, espressione della Confindustria, per legare la retribuzione alla produttività.
Obiettivo di tale battaglia, a detta di Ichino, sarebbe l’aumento della produttività stessa, al cui basso livello vengono imputate le difficoltà dell’economia italiana, e la cui causa risiederebbe negli scarsi incentivi ai lavoratori bravi e volenterosi, i quali ricevono, invece, lo stesso salario di quelli pigri e incapaci. Se tale ragionamento fosse vero, la decisione della Nokia risulterebbe non molto razionale. In realtà, così non è. Anzi, il caso della Nokia dice molto sui meccanismi reali di funzionamento delle imprese e del moderno capitalismo. Ma andiamo per ordine.
Innanzi tutto, l’obiettivo del capitale non è la produttività in sé, ma l’aumento dei profitti. Infatti, la produttività – secondo la definizione corrente – non è altro che il valore in denaro prodotto mediamente in un’ora dal singolo lavoratore. Il profitto, invece, essendo la differenza tra tutti i costi di produzione – compreso il salario dei lavoratori – ed il prezzo di vendita del prodotto, è quello che veramente importa ai fini del bilancio aziendale.
Ritornando alla Nokia, se questa sposta la produzione in Romania è perché lì i profitti risultano più alti, dal momento che i salari orari sono più bassi, per l’esattezza 4 euro contro i 28 della Germania, compensando così ampiamente la minore produttività oraria. I bassi salari sono stati, per l’appunto, la leva competitiva principale anche per il padronato italiano negli ultimi 20 anni, cioè da quando la capacità negoziale del lavoro si è drasticamente ridotta. Risultati ne sono stati un salario nominale ora tra i più bassi d’Europa ed un salario reale andatosi riducendo fino a rendere difficile, per molte famiglie, arrivare alla cosiddetta “terza settimana”.
Ma, oggi, agire sul salario non basta più, perché in un mercato mondializzato competere sul salario coi paesi dell’Europa orientale e soprattutto dell’Estremo Oriente non è più possibile. Eppure, c’è chi continua a voler cavare sangue dai lavoratori, come fossero rape. Pretendere di aumentare la produttività, legandola direttamente al salario, non è altro che questo. Ma, in Italia la proposta di Ichino, oltre a produrre un danno, ha il sapore della beffa. Infatti, parlando di produttività dobbiamo intendere sia quella oraria sia quella assoluta. Quest’ultima deriva anche dalla lunghezza della giornata lavorativa, che, per l’appunto, è in Italia più lunga che nel Nord Europa, anche per il ricorso massiccio agli straordinari. Vi ricordate, al proposito, da quante ore erano al lavoro, al momento dell’”incidente”, gli operai morti alla Thyssen Krupp di Torino?
Invece, l’aumento della produttività oraria dipende da due fattori: l’aumento dell’intensità (i ritmi di lavoro) e l’aumento della forza produttiva del lavoro. L’aumento della prima è più facile da ottenere, in tempi di facile ricattabilità dei lavoratori. La seconda richiede, invece, elevati investimenti in nuovi macchinari, in miglioramenti dell’organizzazione del lavoro, e, quindi, in ricerca e sviluppo. Tali investimenti si traducono non solo in processi lavorativi più efficienti, ma anche in prodotti migliori e più competitivi, oppure più adeguati a soddisfare nuovi bisogni, tutti fattori su cui l’industria italiana ha segnato il passo negli ultimi anni. Cose che costano, e per questo in Italia, dove la media delle imprese ha dimensioni inferiori, ad esempio, a quelle tedesche (ma il discorso mutatis mutandis vale anche per la grande impresa italiana che ha sempre speso poco in R&S), si è preferito fare maggiore affidamento su salari bassi, straordinari e aumento dei ritmi di lavoro.
In questo modo, le quote di mercato delle imprese italiane sui mercati internazionali si sono ridotte, ma, in compenso, i profitti sono cresciuti, visto che i salari relativi si sono ridotti, cioè si è ampliato il divario relativo tra i salari ed i profitti. L’elemento da cui partire è che l’impresa capitalistica non compra dal lavoratore il prodotto già bello e fatto, ma il suo tempo di lavoro, nel quale interviene, modificandone le condizioni di sfruttamento, ai fini dell’aumento del profitto. Ciò risulterebbe ancor più vero nel caso in cui, come di fatto propone Ichino, si reintroducesse il salario a “cottimo”, che non è altro che la forma di salario più adeguata agli interessi dell’impresa, adeguata cioè ad aumentare l’intensità del lavoro ed il suo sfruttamento, rendendo, in sovrappiù, superfluo il controllo sul lavoro operaio da parte dell’impresa. Sarebbe il lavoratore a stesso a controllarsi da solo, nel tentativo di raggiungere un livello adeguato di salario, che comunque tenderebbe a crollare, perché la moltiplicazione della tensione lavorativa applicata alla produzione renderebbe superfluo l’ingresso di nuovi lavoratori e, quindi, aumenterebbe i disoccupati ed i sottoccupati, con il conseguente aumento della pressione sul mercato del lavoro e sui livelli salariali.
Ma, con buona pace di Ichino, le aziende hanno già introdotto criteri di valutazione che legano gli aumenti di retribuzione (ormai sempre più necessari solo per mantenere il potere d’acquisto), estendendoli anche a funzioni che poco hanno a che fare sia direttamente che indirettamente con la manifattura. E’ proprio in questi casi che si osserva meglio quanto questi criteri non siano legati al raggiungimento della produttività, ma al mantenimento della disciplina e della gerarchia all’interno delle aziende. Infatti, non è possibile definire “oggettivamente” e quantitativamente la produttività per lavori “immateriali” o per lavori legati ai servizi alla persona. Il “merito” diviene così un qualcosa ancora di più definibile solo “soggettivamente”, cioè secondo il punto di vista dell’azienda.
Dulcis in fundo, quando Ichino parla di legare il merito alla retribuzione è solito partire dal settore pubblico, anche perché è consapevole che i disservizi statali sono per molti, anche fra i lavoratori, oggetto di critiche feroci. Si tratta di una mossa furba, che mira a fare breccia nel fronte dei lavoratori, colpendolo nel punto “debole”, per poter estendere certi principi regressivi a tutti. Però, tale mossa non tiene conto di alcuni fatti. Se il pubblico presenta delle inefficienze, queste sono dovute, in primo luogo, alle scarse risorse ad esso dedicate oppure al modo irrazionale in cui vengono gestite. Tali inefficienze non possono essere imputate ai lavoratori, ma al modo, ancora clientelare ed inefficiente, in cui il lavoro viene organizzato. Né l’introduzione di criteri privatistici nel pubblico, come l’esternalizzazione di molte funzioni, ha migliorato i servizi, ma ha semplicemente peggiorato e reso precarie le condizioni di molti lavoratori, offrendo a imprese e potentati vari nuove occasioni di arricchimento.
Il “merito” di Ichino, evidentemente agli occhi di chi lo sostiene, è quello di attaccare due principi essenziali su cui si sono rette le relazioni sindacali. Il primo è quello secondo cui il rapporto tra il salario e il profitto è basato sui rapporti di forza esistenti tra classi sociali, per questa ragione oggettivamente antagonistiche. Il secondo è che il miglioramento delle condizioni salariali non passa attraverso il riconoscimento di un “merito” individuale, ma attraverso la negoziazione e la lotta collettiva.
Si tratta, in definitiva, di un altro tassello dell’offensiva contro la contrattazione collettiva, una delle ultime posizioni tenute dai lavoratori. Oggi, anziché introdurre strumentali divisioni tra lavoratori “fannulloni” e “laboriosi” sarebbe, invece, il caso di ragionare in termini di unificazione delle lotte di tutti i lavoratori europei, costruendo un sindacato veramente europeo, e rivendicando un salario minimo a livello Ue. Del resto, proprio l’aumento della richiesta di lavoratori, seguita allo spostamento di molte produzioni all’est, sta alzando i livelli salariali in questi paesi. Infatti, in termini reali i salari in Polonia sono cresciuti negli ultimi nove mesi del 7% ed in Romania addirittura del 16%.
Pubblicato anche, in versione ridotta, su La Rinascita e Aprile on line.

Written by eneaminghetti

marzo 6, 2008 at 3:42 PM

Pubblicato su ichino, pd, sindacato

>La lotta di classe secondo Veltroni

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«Sento che la sinistra radicale parla di lotta di classe contro i padroni. Noi abbiamo un’idea diversa, noi proponiamo un grande patto fra lavoratori e produttori.»

Walter Veltroni in occasione dellla presentazione
della candidatura di Massimo Calearo nelle liste del Pd, 2 marzo 2008

Written by eneaminghetti

marzo 4, 2008 at 2:33 PM

Pubblicato su classe, lotta, pd, sinistra, veltroni

>PD: Siamo riformisti, non di sinistra

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Da L’Unità, giornale fondato nientepopodimeno che da Antonio Gramsci.

Veltroni a El Pais : «Siamo riformisti, non di sinistra»

«Somos reformistas, no de izquierdas». El Pais, principale quotidiano spagnolo, intervista Walter Veltroni. Uno sguardo a tutto tondo sul suo tour elettorale, un parallelo italo-spagnolo su due paesi al voto, ma soprattutto domande secche sulla novità del Pd. Il titolo parte proprio da lì: «Veltroni ringiovanisce la politica italiana». Ma non si tratta solo di candidature, è il programma a segnare la svolta. E Veltroni usa parole chiare per definirla: «Siamo riformisti, non di sinistra».

Una frase che, in questi giorni in cui la parola Veltrusconi riecheggia in tutti i discorsi di chi sfida i leader dei due maggiori partiti – Casini su tutti – fa riagitare lo spauracchio delle larghe intese. Veltroni mette in chiaro subito che «riforme istituzionali, sì, accordi di governo, no». Uno slogan che riassume quello che da giorni va dicendo a chi, da Fini a Bertinotti, lo accusa di aver “copiato” il programma del Pdl: «Se è vero che il nostro programma è copiato dal suo, allora vorrà dire che potrà votare, fin da subito, alcuni punti del nostro programma». Ma, aggiunge, «non collaborerò mai con Berlusconi ad un governo».

Tra i due programmi, comunque, c’è sicuramente un punto dirimente: la questione energetica. Berlusconi ha rilanciato nel programma presentato venerdì il nucleare come panacea di tutti i mali, Veltroni ora replica spiegando che quello di cui abbiamo bisogno è «un’operazione di gigantesca riconversione del nostro sistema produttivo, possibile grazie alle grandi scoperte della tecnologia, che ci permette di ricavare energia dalla natura, a cominciare dal sole».

Sottolinea le differenze anche il ministro del Lavoro Cesare Damiano: «Il programma del Popolo delle libertà mi pare piuttosto avaro sui temi del lavoro, tutto il contrario del Partito democratico che ha un programma robusto e preciso». Nel Pdl «si parla di detassazione degli straordinari e sgravi sulla tredicesima. Il Pd – prosegue Damiano – invece deve agire con molta più forza intervenendo sulla revisione al basso delle aliquote, con incentivi sui salari di produttività, sulla revisione del modello contrattuale con un miglioramento retributivo soprattutto per il lavoro discontinuo, si tratta dei famosi 1000-1100 euro per i contratti a progetto».

Intanto, in una lettera a Famiglia Cristiana, il segretario del Pd ricuce sul fronte dei temi etici: il settimanale cattolico lo aveva duramente attaccato per aver siglato l’accordo con i Radicali, ora Veltroni rassicura che «non c’è ragione di temere che nel Pd i cattolici siano mortificati. Al contrario, è di tutta evidenza come essi rappresentino una delle colonne portanti del partito: non solo sul piano quantitativo, ma anche sul piano della qualità e dell’autorevolezza delle idee».

Non piace la svolta “riformista” ai Socialisti. Boselli: «Raccontare agli italiani che non è mai stato comunista, è una bugia ed anche un errore. Il nuovo – aggiunge – non passa cancellando la storia di ciascuno di noi». Ma nell’intervista a El Pais, Veltroni sostiene che «gli italiani sono stanchi del passato». «L’Italia – prosegue – ha diritto di scegliere tra una proposta riformista ed una conservatrice. Si potrà dire quel che si vuole – ammette – ma Reagan ha cambiato l’America; Mitterrand ha cambiato la Francia e altrettanto farà Sarkozy, così come la Thatcher e Blair hanno cambiato l’Inghilterra».

Written by eneaminghetti

marzo 3, 2008 at 9:29 am

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