Archive for febbraio 2008
>Fosco Giannini al CPN
>Intervento di Fosco Giannini (L’ernesto) al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista.
su L’ERNESTO del 25/02/2008
In questi ultimi anni, dal Congresso di Venezia in poi, sono accaduti molti fatti, il nostro Partito ha vissuto molte esperienze; l’una si è addossata all’altra, l’una è stata conseguenza dell’altra e tutte insieme hanno costituito la catena della nostra crisi, del nostro fallimento.
Oggi, noi di Rifondazione, somigliamo a quei personaggi del film “Germania anno zero”: uomini e donne che ondeggiano tra le macerie, così frastornati dalla rovina da non riconoscerla; così segnati dal caos da sbandare lungo strade bombardate e senza più direzione. Solo un andare cieco, avanti e indietro, avendo perduto ogni cammino e ogni meta.
Dal movimentismo estremo, che affidava al movimento stesso il ruolo di intellettuale collettivo, all’ipergovernismo prodiano; dall’innamoramento di Toni Negri a quello della Presidenza della Camera; dalla Sinistra Europea alla Sinistra Arcobaleno, passando attraverso un lungo processo di decomunistizzazione e abbandono – politico e teorico – del progetto di Rifondazione Comunista: avete prosciugato passioni, sentimento, senso della comunità: siamo lì, “Germania anno zero”, le macerie, lo sbandamento.
Il nostro gruppo dirigente ha lo sguardo sempre più simile a quei personaggi di Rossellini: perso nel vuoto di un dopoguerra, non sa più dove andare e dove portarci.
Edmund Koeler, il ragazzino tedesco di “Germania anno zero”, alla fine si getta nel vuoto, si suicida.
Il nostro gruppo dirigente sembra aver trovato una strada diversa per uscire dal proprio caos, dalla propria crisi: vuol ricostruire un partito “nuovo” sulle macerie di Rifondazione Comunista, un partito con Mussi, socialdemocratico come Mussi. E lo fa senza suscitare passioni, senza coinvolgere il nostro popolo, gli operai, i lavoratori, i movimenti di lotta, gli intellettuali; lo fa a freddo, una cosa da laboratorio politicistico, senza un programma, senza una strategia, se non quella dell’abbandono non solo dei simboli ma, soprattutto, della natura politica e culturale comunista, anticapitalista.
Il gruppo dirigente non si suicida come Edmund Koeler, ma si getta nello stesso vuoto.
“Volete superare l’autonomia comunista, volete costruire un partito nuovo di stampo socialista o socialdemocratico” – abbiamo sempre denunciato e sostenuto.
E sino ad un certo punto gran parte del gruppo dirigente ha risposto che ciò era falso: si stava solo costruendo una nuova soggettività (distinzione difficile da capire).
Vado constatando che ora, sotto la spinta delle cose, sotto la pressione vincente di Alfonso Gianni, Gennaro Migliore e tanti altri; sotto la spinta degli editoriali di Bertinotti sulla sua rivista (“Alternative”) e di Sansonetti sul suo quotidiano (“Liberazione”), vado constatando che tali rassicurazioni appaiono sempre più deboli e rarefatte e che ormai anche Giordano (a cui altre minoranze avevano accredidato tanta fiducia per l’avvenire) cita Alfonso Gianni e assume la sua linea liquidazionista.
Il partito “nuovo” – socialista, non più comunista – volete farlo. Ditelo, non prendete più in giro le compagne e i compagni.
Trovo curioso l’atteggiamento del gruppo dirigente, che ancor oggi non riesce a mettere in fila le cose, a cogliere il nesso che lega la linea politica di Venezia all’attuale (drammatica) nostra afasia, paralisi, immobilità rispetto alla campagna elettorale. Veltroni imperversa, sposta sempre più l’ago politico in senso moderato, erode sempre più Sinistra Democratica e noi siamo fermi, raggelati dai nostri errori, dal nostro caos, dalla nostra crisi di identità.
E’ un inizio di campagna elettorale in cui non abbiamo un’idea forte, non abbiamo una proposta, non abbiamo uno slogan, non siamo presenti, non siamo percepiti, non siamo sentiti, non suscitiamo passioni e sentimenti popolari. E questo Arcobaleno sembra un residuale e nostalgico segno della sinistra moderata degli anni ’80. Un segno freddo e identitario di vent’anni fa.
Ha affermato in questi giorni Bertinotti che la gente (la gente!) imparerà ad amare e ad affezionarsi ai nuovi simboli (svelando – maldestramente? consapevolmente? – che questi saranno, definitivamente, i nuovi simboli). Noi crediamo che l’amore e l’affetto per i simboli non possano crescere solo attraverso la loro reiterata apparizione sui media, sui manifesti, sulle schede elettorali.
I simboli prendono corpo e spirito, entrano nell’anima del nostro popolo, dei lavoratori, solo se rappresentano le grandi lotte, le grandi idee di liberazione, le grandi storie del movimento operaio e dei popoli. Solo se hanno il sangue e la storia viva della falce e il martello e della bandiera rossa!
Siamo già in campagna elettorale e i nostri compagni, la nostra base non se n’è ancora accorta. Il gruppo dirigente sta lì, attorcigliato su se stesso, in preda al panico e al senso di vuoto. Occorrerebbe uno scatto bruciante per affrontare questa campagna elettorale; occorrerebbe che si rimboccassero le maniche e scendessero nelle piazze i nostri iscritti, i nostri militanti. E tutti noi siamo chiamati a far sì che questo avvenga.
Ma la vedo dura. La vedo dura perché è difficile convincere i soldati a combattere senza dir loro per chi e per che cosa. E anche in questi giorni il gruppo dirigente non è capace di motivare l’esercito, di dargli una meta, di infondere coraggio, passione, senso del sacrificio. Sono troppi, anzi, i dirigenti che in queste ore si mobilitano per una sola battaglia: quella delle candidature.
Avremmo bisogno di un partito forte, organizzato, radicato e lo sciogliete; avremmo bisogno di un forte senso dell’unità a sinistra e corrompete e degenerate questo valore attraverso una nefasta precipitazione organizzativistica volta alla costruzione di un soggetto e di un partito nuovo.
Avremmo bisogno di una forte solidarietà interna e il gruppo dirigente risponde con l’attacco e l’emarginazione delle minoranze. Di quelle non dialettiche. Di quelle cattive!
Come facciamo, oggi, in queste condizioni a spingere tutte le nostre forze ad agire, a scendere nelle strade, nei quartieri per la campagna elettorale? E’ nostro compito, compito di ogni dirigente, sollecitare con la massima determinazione il lavoro per la campagna elettorale. Lo faremo e tutti dobbiamo farlo. Tuttavia lo stato d’animo creato dal gruppo dirigente è dei peggiori: hanno seminato freddezza invece che passione, hanno oscurato l’orizzonte prima della battaglia. Ed ora sta a tutti noi far capire che la destra è in agguato e che la sinistra non può distruggersi.
Ma al gruppo dirigente del nostro partito va detto: avete operato strappi dopo strappi ed ora vi assumete una grande responsabilità, quella di aver gettato la nostra base nell’inerzia, nell’accidia, nell’ibernazione politica.
Siamo di fronte al fallimento del governo Prodi; siamo di fronte al fallimento della nostra stessa esperienza di governo e non avanziamo ancora uno straccio di analisi seria, di riflessione sulla fase e su noi stessi.
Ciò è sconcertante e paradossale. Chi rimuove la realtà è condannato a commettere sempre gli stessi errori. Questa è la destinale e tragica coazione a ripetere che cresce sulla base materiale della rimozione e che Freud aveva individuato come uno dei segni delle depressioni gravi.
Abbiamo invece bisogno di mettere a fuoco i fatti concreti:
primo, la linea di Venezia, con la quale si passa dai movimenti alla subordinazione al governo Prodi e dunque alla NATO, agli Usa, all’Unione europea, alla Confindustria e al Vaticano; secondo, la rottura – pesantissima – con i movimenti; terzo, la crisi profonda del Partito, crisi di identità, di passione politica, di militanza, di appartenenza; quarto, la trasformazione giacobina, prepotente del nostro Partito nella Cosa Rossa, l’abbandono della falce e il martello e della nostra cultura anticapitalista e antimperialista, cosa che non possiamo tollerare e non tollereremo. Se il Congresso lo farete, ci vediamo al Congresso; quinto, lo smarrimento col quale ci avviciniamo alla campagna elettorale.
E’ possibile – mi rivolgo al gruppo dirigente – che non capiate che fra tutti questi fatti via sia un nesso? E’ possibile che ancora non abbiate compreso che i rapporti di forza sociali e l’attuale egemonia del capitale non ci permettono di andare al governo facilmente con le forze moderate e che dunque – oggi – la questione essenziale è quella di rimettersi alla testa di un nuovo ciclo di lotte sociali per cambiare i rapporti di forza, senza sognare alleanze governative col il Partito democratico di Veltroni, riallanciando, invece, i legami con il movimento operaio complessivo e con i movimenti?
E’ possibile che non capiate che questo cupio dissolvi verso il nostro Partito è la base materiale sulla quale nascono il disimpegno e l’abbandono di migliaia di compagne e compagni?
Noi facciamo la battaglia contro la cancellazione della falce e il martello. Voi ci rispondete che siamo identitari. Non ci provate! Non attacca! Rischiate di fare come D’Alema quando attaccava volgarmente i friggitori di salsicce del PCI e attaccando i friggitori di salsicce attaccava in verità tutti noi, tutti coloro che avrebbero costruito Rifondazione Comunista!
Toglietevi dalla testa che saremmo degli sprovveduti e dei trinariciuti! Non siamo identitari, siamo comunisti! E sappiamo bene che vi è un nesso preciso – specie ora, in questa fase – tra la cancellazione della falce e il martello e la trasformazione della natura politica del nostro Partito: da comunista a sinistra indefinita, socialdemocratica, socialista. E’ questo il punto, altroché identitari!
Noi sappiamo che la rimozione della falce e il martello è il prezzo da pagare a Mussi, è il prezzo da pagare per superare il progetto di Rifondazione Comunista e costruire un partito vagamente di sinistra.
Non difendiamo la falce e il martello come simbolo in sé: molto di più, difendiamo quell’appassionante progetto originario che puntava a rifondare un Partito comunista privo di nostalgie e all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe!
Per ultimo, la democrazia interna. Ho appreso che il compagno Ferrara ha delineato una distinzione tra minoranze buone e oppositori cattivi, oppositori da escludere, punire, emarginare.
Caro Ferrara, non capisco davvero che cosa vuoi dire: una minoranza è di per sé opposizione, se no sarebbe maggioranza o un’ala della maggioranza. Se una minoranza è quella di sua maestà, è quella servile, non è minoranza. E’ solo utilizzo di alcune differenze politiche a fini di lucro, di accumulazione di prebende e potere: è opportunismo! E l’opportunismo non fa bene alla verità e alla democrazia, anche alla democrazia interna al nostro Partito.
Le minoranze non possono che essere di opposizione, e cioè si oppongono, senza calcoli opportunistici e di sopravvivenza, ad una linea che non condividono!
La teorizzazione di una minoranza ingabbiata entro limiti politici decisi dalla maggioranza è un orrore antidemocratico. Se posso dire, era, questa, una delle pratiche più nefaste della fase degenerata dello stalinismo!
Caro Ferrara, cari compagni del gruppo dirigente al vostro posto sarei molto cauto nel tentare di emarginare ed escludere le minoranze. Vi sono migliaia di iscritti e militanti (da Vicenza a Milano, da Torino a Bologna, dalle Marche alla Calabria, dalla Sicilia alla Sardegna) che a queste minoranze tengono molto e per queste minoranze sarebbero disposte a battersi in modo determinato.
Queste migliaia di compagne e compagni hanno un rapporto ormai molto critico col Partito e per noi è stato e rimane difficile convincerle che la cosa giusta (l’unica possibile) è continuare a battersi nel Partito e militare per Rifondazione Comunista.
Sono migliaia di compagne e compagni, come ben sai, compagno Ferrara.
Noi li abbiamo sempre convinti a non andarsene a casa, a continuare la militanza, svolgendo così un’azione unitaria e volta al rafforzamento del Partito. Non convincerli tu, Ferrara, ad abbandonare la militanza e l’impegno politico.
Per ultimo, al compagno Giordano: non si può chiedere una moratoria interna per la campagna elettorale con il sorriso sulle labbra e con la spada in mano.
Ti dico tutto questo, compagno Giordano, solo per necessità di una discussione politica, non per altro.
Perché mai, anche se potessi, scambierei una mia candidatura con la rinuncia alle cose in cui credo, con la rinuncia alla battaglia politica.
>Quanto pesa Sinistra Democratica
>
Sd perde pezzi e voti ma acquista peso nell’Arcobaleno
di GIANNI DEL VECCHIO
su Europa del 20/02/2008
COSA ROSSA. «TAVOLO TECNICO SULLE LISTE CONVOCATO AD OLTRANZA. SINISTRA DEMOCRATICA SPUNTA PIÙ POSTI DEL PREVISTO
Un partito nato da poco, che ancora non ha avuto modo di misurarsi elettoralmente, che alcuni sondaggi danno attorno l’uno per cento e che sconta una costante emorragia di dirigenti e sostenitori. Insomma, un partito in ginocchio, ma che intanto è riuscito a spuntare più posti nelle liste rispetto al suo peso reale. Stiamo parlando di Sinistra democratica e delle grandi manovre delle ultime ore per ottenere più spazio possibile nelle fila della Sinistra arcobaleno. Il partito di Mussi infatti deve fare i conti con le continue defezioni da parte dei propri uomini, e cioè chi l’anno scorso non ha creduto al progetto del Pd e ha preferito dar vita a un soggetto che facesse da collante fra sinistra radicale e riformista. È notizia di ieri che anche Olga D’Antona, la moglie del giusla-vorista assassinato dalle Brigate rosse, ha abbandonato Sd per andare a ingrossare il movimento guidato dall’ex sottosegretario agli esteri, Famiano Crucianelli. Un movimento che ha come obiettivo quello di rafforzare l’ala sinistra del Partito democratico e che domenica si presenterà agli italiani, “battezzato” da Veltroni in persona e dal segretario generale della Cgil, Epifani. Proprio la presenza della Cgil, che si concretizza nell’adesione del segretario confederale Paolo Nerozzi. è il vero valore aggiunto della costituenda associazione, soprattutto sotto il profilo del pacchetto-voti che sottrarrà a Sd per portarlo in dote al Partito democratico. Ma non solo. Crucianelli è anche l’editore della rivista Aprile e del connesso sito internet, due media molto conosciuti e frequentati dalle parti della Sinistra arcobaleno. E che da oggi e fino alle elezioni non si occuperanno più solo di Cosa rossa e dintorni. «La missione editoriale è cambiata – sottolinea Crucianelli – e deve cambiare anche la collocazione. Fino alle elezioni Aprile resterà equidistante fra Pd e Cosa rossa, con Giovanni Berlinguer a fare da garante. Ma a maggio ci sarà un ripensamento complessivo».
Insomma, il progetto di Mussi segna il passo, in crisi di uomini, mezzi e prospettive. Nonostante ciò, è riuscito a strappare agli altri partiti dell’Arcobaleno più posti in lista del previsto, grazie a un aut aut nella notte fra lunedì e martedì. Alla fine la percentuale di nomi nelle liste sarà questa: 45 per cento Prc, 19 a testa Verdi e Pdci, 17 per Sd. Un 7 per cento in più per gli uomini di Mussi rispetto al 10 di partenza. Il che, tradotto nei numeri della camera, significa passare da sei a nove deputati. Un ottimo risultato, soprattutto se si pensa che è stato ottenuto in tempi di vacche magre. Si prevede infatti che la pattuglia arcobaleno sia destinata quasi a dimezzarsi alla camera: dai 91 attuali a poco più di 50.
E infatti il clima di austerity sta mettendo in forte difficoltà la stessa Rifondazione. Per sua stessa ammissione, l’attuale capogruppo al senato Russo Spena corre il rischio di restare fuori dal parlamento: «Fra il principio della parità di genere e circa il 20 per cento di candidati indipendenti, il numero di seggi disponibili si riduce di molto». Oltre all’alternanza uomo-donna e la presenza di candidati esterni ai partiti (su questo punto ogni forza farà da sé), altro elemento di accesa discussione al tavolo tecnico che si occupa del nodo liste è l’introduzione del tetto massimo di due legislature, caldeggiato soprattutto da Giordano. Alla fine dovrebbe passare, seppur con un meccanismo che permetta un certo numero di deroghe.
E Da APRILE ONLINE
Governare da Sinistra
E.S., 24 febbraio 2008, 14:04
Politica Al Teatro Capranica un incontro dal titolo “Per una sinistra di governo”, al quale partecipano con i loro interventi Walter Veltroni e Guglielmo Epifani. L’obiettivo è quello di raccogliere esperienze e contraddizioni, in una sintesi utile alla costruzione di un paese diverso, che esige nuove visioni politiche e urgenti soluzioni sociali
Si inizia di mattina presto per essere domenica, ma al Teatro Capranica la sala si riempie in poco tempo. L’occasione è l’incontro “Per una sinistra di governo”, promosso da alcune componenti politiche (già Sinistra democratica) e una fetta di sindacato Cgil, con l’intenzione di discutere e confrontarsi con il progetto-Pd, dentro e fuori lo stesso partito. Sul palco Famiano Crucianelli e Paolo Nerozzi, insieme a Olga D’Antona e Massimo Cialente, che partono proprio dalla scelta di non proseguire la loro esperienza dentro Sinistra democratica. In prima fila (puntualissimi) gli invitati speciali della giornata, Walter Veltroni e Guglielmo Epifani.
“Sinistra democratica non è mai stata negazionista -è l’esordio di Crucianelli-: ma il suo progetto politico non ha mantenuto le aspettative”. Al centro di alcune polemiche emerse in queste settimane, il sottosegretario agli esteri chiarisce: “Malgrado quanto detto e scritto negli ultimi giorni, non ho alcuna intenzione di candidarmi; e la scelta di avviare un confronto con il programma e il progetto del Pd scaturisce soprattutto dall’esigenza di evitare quello che per il paese sarebbe un disastroso ritorno del governo Berlusconi, al quale si deve contrapporre una forza capace di cogliere l’onda profonda del cambiamento. Un’esigenza collettiva che può portare a risultati sorprendenti, come fuori d’Italia dimostrano i successi Obama e le recenti elezioni nel territorio dell’Assia”. La chiusura di Crucianelli, ricordando l’impegno di una sinistra da costruire non più soltanto nei termini di una delimitazione fatta “con i paletti”, ma che respiri le aspirazioni e le priorità del nuovo secolo, torna sul rapporto con Sd: “Voglio fare i più sinceri auguri a Fabio Mussi per una pronta guarigione e un ritorno immediato all’attività politica, ricordando che quando ci si separa non dobbiamo far diventare primo nemico quello che è stato il nostro convivente”.
A seguire Paolo Nerozzi, il quale gira direttamente a Veltroni una serie di questioni da affrontare con urgenza, quello del lavoro su tutti nelle sue varie declinazioni, da quello pubblico (citando la legge D’Antona del ’98) alla scuola e la formazione come passaggi fondamentali per migliorare la qualità delle professioni, senza dimenticare, tra i temi sociali di stringente attualità, su tutti la violenza psico-fisica consumata a Napoli in materia a proposito di “194”.
Nerozzi ripercorre i vari passaggi che hanno determinato una rottura tra parti della sinistra e del sindacato: “Se oltre cinque milioni di lavoratori avevano votato il referendum giudicando positivo l’accordo sul Welfare del 23 luglio, si doveva rispettare quella scelta, cogliendo il segno dei tempi. Cosa che invece, con la manifestazione del 20 ottobre, non è stata fatta. L’otto e nove dicembre, a quel punto, ha finito con il rappresentare un punto di non ritorno”.
Arriva il momento del segretario del Pd.
Veltroni non si dice affatto sorpreso della presenza di così tante persone in un orario e una giornata così insoliti, perché “conosco voi e la vostra passione politica, per questo speravo che ci saremmo ritrovati. E aggiungo che in questi miei primi giorni di viaggio nelle province italiane (undici delle centodieci previste), ho incontrato migliaia di persone, giovani in particolare che non si avvicinavano alla politica da molto tempo, o non lo avevano mai avvicinata. Ecco perché è sbagliato parlare di antipolitica: piuttosto i cittadini erano e sono stanchi di una politica e dei suoi apparati, che vogliono sostituire con una che proponga e rappresenti un sistema concreto di valori”.
I temi toccati dal leader Pd sono quelli che del cambiamento, che guardi specialmente alle nuove generazioni, dato che gli italiani “vogliono iniziare un cammino nuovo, più razionale, più sereno, più europeo”. Veltroni ribadisce che la “vocazione maggioritaria”, già annunciata in tempi non sospetti nel discorso pronunciato al Lingotto dopo il risultato delle primarie, ha portato a uno piazzamento di “coloro che ancora navigano all’interno di uno schema novecentesco”. Quello di cui si ha bisogno è un paese “dinamico e aperto”, che si liberi dalle maglie di un conservatorismo certo di destra, ma che è appartenuto anche a una certa sinistra, tesa molto a “difendere e tutelare, ma poco a costruire i nuovi diritti che richiede una società mobile e in divenire”.
Si arriva così al passaggio riguardante il precariato giovanile, di cui secondo Veltroni “per anni non si è occupato nessuno”. Questa è la sfida più importante per tentare di rafforzare un sistema di rinnovamento che deve finalmente guardare alla “meritocrazia, alle pari opportunità, al talento, alle capacità individuali e collettive, alla voglia di fare”. Anche se tutto questo spesso nel nostro paese non è sufficiente, perché “L’ascensore sociale si è rotto”.
Le conclusioni del segretario (prima di raggiungere il Palalottomatica per il saluto ufficiale alla città di Roma dopo sette anni da primo cittadino), tornano a guardare una politica nella quale il Pd, nella sua scelta di correre “libero”, è come se implicitamente avesse fatto una parte di riforma elettorale costituzionale. “Ora gli elettori, con il loro voto, possono fare la parte che resta”.
Per Guglielmo Epifani, intervenuto subito dopo Veltroni, il problema centrale è comprendere come la politica viva le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro. Il segretario della Cgil ricorda quanto si stava per realizzare in accordo con il governo Prodi prima della sua caduta (compreso il superamento della Bossi-Fini), vale a dire il tavolo sulle tariffe, la restituzione fiscale, la formazione professionale, che “giustamente Veltroni ricorda che riguarda non soltanto i giovani, ma anche i cinquantenni che possono trovarsi in difficoltà da un punto di vista lavorativo, e hanno bisogno di una nuova collocazione”. Naturalmente anche Epifani torna sulla “questione giovanile”, sottolineando che “senza sviluppo non c’è reddito, senza crescita mancano le opportunità per le nuove generazioni; così come è obbligato tornare all’accordo del 23 luglio, per il quale anche il leader del sindacato è convito che “si doveva avere più rispetto”, dato che, diffidando di chi promette tutto a tutti, ai programmi faraonici sono preferibili programmi precisi: “Non si può più predicare in un adirezione e operare verso un’altra -ammonisce Epifani-, perché proprio il referendum dei lavoratori ha dimostrato che i lavoratori, consapevoli di dover pretendere di più, comunque preferiscono piccoli passi, ma passi in avanti, e passi concreti”. Scuola e formazione, legati indissolubilmente a un intervento importante nel miglioramento dei servizi pubblici, devono fornire quello scatto decisivo per “riacquistare fiducia nel futuro, e riprogettare il paese”.
Di seguito ai due segretari, è Olga D’Antona a ricordare l’importanza politica di una sinistra che sappia guardare e dialogare con le innovazioni e le trasformazioni politiche e sociali che stanno attraversando l’Italia; così come Vincenzo Vita, prima delle conclusioni dello stesso Crucianelli, rivolge sinceri auguri alla Sinistra Arcobaleno, ma ritiene utile e indispensabile la ricerca di nuove soggettività a sinistra: “Una sinistra diversa, per una società che in questi ultimi anni è molto cambiata”. Di qui il percorso culturale e politica della “sinistra per Veltroni”, che potrebbe incontrare quello di un’associazione “Sinistra per il governo”, anche se tutto è ancora da vedere.
Per il momento, è stato di certo opportuno questo dialogo su molti argomenti, dalla “centralità dei lavori”, già menzionata da Epifani, all’idea di collaborare insieme per assolvere ai compiti storici della sinistra, che sono quelli di raccogliere esperienze e contraddizioni nel tentativo di trovare una sintesi produttiva. Ecco perché l’obiettivo non deve essere quello di una “corrente” dentro il Pd, quanto quello ben più importante e ambizioso di una sinistra presente nella politica e nella società come “un forza moderna e riformista”.
Concetti, questi, confermati nelle conclusioni di Famiano Crucianelli, laddove si ribadisce la necessità di lavorare insieme per sconfiggere il pericolo di un ritorno della “destra-centro”, attraverso la costruzione di un’associazione che guardi inoltre a una sinistra di governo, per partecipare di un progetto compiuto e ben delineato.
Nel corso della campagna elettorale, i primi passi in questa direzione potrebbero già essere avviati. Vedremo come.
>Lo dice anche Veltroni. Mi era sfuggito.
>Veltroni: “Grave errore non aver fatto le larghe intese”
“Le larghe intese? grave errore non averle fatte” dice Valter Weltroni rispondendo alla proposta di Silvio Berlusconi in caso di pareggio elettorale. “Qualunque persona di buon senso
direbbe: perchè non l’avete fatto prima?”
>I programmi di Pdl e PD si assomigliano. Parola di Fini.
Se anche i programmi di Pdl e Pd “si assomigliano“, “i valori di riferimento sono diversi”. Gianfranco Fini, dal palco della Fiera di Verona, indica ai militanti di An Walter Veltroni come “l’Houdini della politica italiana”. Un politico che, secondo Fini, “come l’illusionista francese vuol far sparire, magari nascondendolo nel pullman, quello che è il risultato di due anni di governo” di centrosinistra. “Finalmente – sottolinea Fini – anche Veltroni ha capito che fra capitale e lavoro ci deve essere concordia e non lotta di classe”.
>Voto sulle missioni all’estero
>
>PD: ridiscutere art.18
>
Apc-*ELEZIONI/ ICHINO: PD DIVERSO DA PCI, RIDISCUTERE ANCHE ART.18 “Materia promettente” il programma del Partito democratico Roma, 21 feb. (Apcom) – L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori si può ridiscutere. Ne è convinto Pietro ichino, professore di diritto del lavoro che dà un sostanziale via libera al programma del Pd per quanto riguarda la battaglia per la modernizzazione dell’impiego pubblico e la contrattazione (“c’è un’apertura e una convergenza esplicita e puntuale”) mentre sul mercato del lavoro “il programma indica l’obiettivo giusto, quello della migliore flexicurity europea” ma “sul come realizzarla ci sono diverse proposte sul tappeto… C’è materia per una discussione promettente”. Sull’articolo 18 Ichino che vincola la sua candidatura nel Pd all’accoglimento di queste proposte ha una posizione netta: “Io sono per una grande intesa tra imprese e lavoratori: le prime rinunciano alla giungla dei contratti precari e atipici, i secondi accettano che tutte le nuove assunzioni avvengano con un contratto a tempo indeterminato con grado di stabilità crescente nel tempo”. Negli anni ’70 e ’80, riflette oggi Ichino, “io ero ‘eretico’…il Pd è un partito totalmente diverso rispetto al vecchio Pci, ma è molto diverso anche da Pds e Ds”.
>L’inno sovietico non rappresenta la storia del movimento operaio. Grazie Bertinotti.
>
Bertinotti cade sull’inno Urss
Fuori programma musicale alla Invasioni barbariche su La7.A Fausto Bertinotti, candidato premier della Sinistra arcobaleno, intervistato da Daria Bignardi, viene chiesto di riconoscere una musica con un coro russo. Bertinotti non riesce a indovinare e si difende: “E’ troppo orientale”. La conduttrice lo riprende: “Il presidente finge di non conoscere l’inno sovietico”, lui replica: “Io conosco l’Internazionale, ma l’inno sovietico no, non rappresenta la storia del movimento operaio”. E conclude: “Non ho una così alta frequentazione con quell’inno. Preferisco quelli italiani, come Bella ciao o Bandiera rossa, ma questi inni con questo passo militare non mi piacciono per niente”.
>Aprile e la CGIL
>
Un «Aprile» senza Arcobaleno, si dimette anche il direttore
di Loris Campetti
su Il Manifesto del 14/02/2008
Serafini lascia e si svuota il comitato editoriale. Contro la scelta dì Crucianelli di tornare verso il Pd
C’era un volta Aprile, mensile di sinistra per la sinistra plurale. Nacque da una speranza e un investimento, era la breve stagione di «Cofferati santo subito» al tempo di Berlusconi, quando la Cgil si batteva in difesa dello Statuto dei lavoratori e dell’artìcolo 18 diventando un pùnto di riferimento per culture e movimenti d’opposizione e militanti sciolti non pacificati. Un giornale e tanti circoli territoriali in giro per l’Italia. Il «capo» del giornale è Famiano Crucianelli, professione parlamentare (sette legislature con il Pdup, Pci, Rifondazione, Pds, Ds) con promozione finale a sottosegretario. Crucianelli è stato il leader dei Comunisti unitari, formazione nata da una scissione di Rifondazione nel 1995. E’ sua la proprietà di Aprile (attraverso la cooperativa Propedit), giornale diretto inizialmente da Aldo Garzia che gli ha garantito un forte impegno politico-culturale, poi da Carla Ronga in un breve interregno (ora direttrice del sito on-line) e infine dal nostro collaboratore storico Massimo Serafini, chiamato da Crucianelli per rilanciare il giornale come strumento di riunificazione delle forze politiche a sinistra del nascente Pd. Serafini accettò l’incarico a due condizioni: 1) l’uscita dai Ds della sua componente di sinistra, già Correntone; 2) non dover prendere la tessera di Sinistra democratica: «non mi iscrivo a un partito – chiari – ma a quattro. Cioè lavoro per la costruzione di un soggetto unitario». Ieri questa storia si è conclusa con una lettera di dimissioni firmata da Serafini e Gabriele Trama ai «proprietari» del giornale. Non ci stanno al repentino salto di corsia di Crucianelli che ha annunciato la sua uscita da Sd e l’avvio del ritomo a casa, in casa Pd, magari costituendo un’associazione di transizione che avrà nel titolo due termini, unità (con chi?) e sinistra (quale?).
«Ho appreso della scelta di Crucianelli leggendo i giornali», spiega Serafini annunciando l’addio. Non è il solo, insieme a Trama, a ritenere conclusa la sua collaborazione con Aprile. Molte delle personalità delle varie, sinistre che fanno parte del comitato edititoriale non condividono la scelta di Crucianelli: Da Luciana Castellina a Betty Leone, da Giovanni Berlinguer a Fava, Martone, Napolitano, Agostinelli, Bandoli, Buffo, Vendola, Beni. Ma c’è anche chi, al contrario, sta compiendo la stessa scelta di Crucianelli o addirittura ne ha tracciato per primo il percorso: è il caso del segretario confederale della Cgil Paolo Nerozzi, alla testa del gruppo di sindacalisti in fuga da Sinistra democratica, in polemica con la scelta unitaria, alternativa al Pd, fatta con Prc, Pdci e Verdi. Con Nerozzi, però, è schierata solo una parte dei dirigenti della Cgil che avevano iniziato l’avventura di Mussi e Salvi, o che comunque aveva preso nettamente le distanze dal Pd sostenendo la nascita di un soggetto unitario a sinistra; mancano all’appello i segretari generali di importanti categorie (Rinaldini della Fiom, Leone dei pensionati, Chiriaco dell’agroindustria) e di camere del lavoro e regionali (Puglia), l’ex segretaria confederale Titti Di Salvo, mentre anche nell’attuale segreteria confederale non mancano i dubbi di qualcuno/a. D’accordo con Nerozzi, invece, ci sarebbero i segretari della scuola Panini e della funzione pubblica Podda, tutti e tre nel comitato editoriale di Aprile. E sicuramente la segretaria confederale Carla Cantone.
Ma in Cgil sono in tanti, forse in troppi, a tifare Pd e Veltroni sarà costretto a scegliere. Alcune scelte il sindaco d’Italia le ha già fatte, per esempio di non accettare una lista del tipo «Sinistra per Veltroni» che lo stesso Nerozzi avrebbe tentato di costruire. In pole position per entrare se non nella storia nelle liste del Pd ci sarebbe uno dei rappresentanti storici della destra Cgil: il segretario confederale Achille Passoni. I giochi sono appena iniziati, ma il Pd potrà godere di un nuovo sostegno che alla vigilia era tutt’altro che scontato: il giornale Aprile epurato e corretto da Crucianelli.
>No ad un accordo politico PD-sinistra
>Selezione di agenzie. Grassetto mio.
SINISTRA:GIORDANO,ANDREMO CON UNICO SIMBOLO,SFIDA LEALE A PD
(ANSA) – ROMA, 8 FEB – La Sinistra andra’ con un unico simbolo e un’unica lista alle politiche dopo che stamattina l’incontro con il segretario del Pd Walter Veltroni ha sancito la fine di ogni possibile alleanza. ”Martedi’ presenteremo il simbolo – spiega il leader di Rifondazione Franco Giordano – e la sfida tra noi e il Pd e a chi rappresenta meglio ‘alternativa alle destre”.
”E’ aperta la sfida – sostiene Giordano – e noi abbiamo un candidato premier di peso, Fausto Bertinotti. Da oggi e’ chiaro che nel paese c’e’ un centro, una destra e una sinistra”.
Quanto alla creazione di una lista Fi-An, Giordano evidenzia che ”c’e’ una positiva semplificazione e questo impegna ancora di piu’ noi tutti a costruire a sinistra un soggetto unitario”.(ANSA).
PD:FRANCESCHINI,SINISTRA?NO DIVORZIO SEPARAZIONE CONSENSUALE
(ANSA) – ROMA, 8 FEB – ”Non e’ stato un divorzio ma una separazione consensuale. Noi siamo convinti che cosi’ come sono le coalizioni di centrodestra e centrosinistra non funzionano.
La nostra prospettiva e’ per un cambiamento nel paese”. Lo afferma il vice segretario del Pd Dario Franceschini, commentando l’incontro con i leader della Sinistra Arcobaleno in cui i due soggetti politici hanno deciso ufficialmente di correre separatamente alle elezioni. (ANSA).
PD: FRANCESCHINI, PIU’ LIBERI, PARLIAMO ANCHE A ELETTORI CDL
(ANSA) – ROMA, 8 FEB – ”Noi ora iniziamo una campagna elettorale piu’ libera nei contenuti senza piu’ mediazioni e compromessi. Avremo un programma con poche cose chiare e
parliamo agli elettori del centrodestra, stanchi di una politica frammentata e litigiosa”. Dopo la ”separazione consensuale” con la sinistra radicale, il vicesegretario del Pd Dario Franceschini ribadisce la linea del Pd. ”Noi parliamo – sostiene Franceschini – a tutti quegli italiani che sentono la necessita’ di un cambiamento per l’Italia”.(ANSA).