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Il 13 febbraio sarà formalmente lo sciopero generale di due categorie, pubblico impiego e metalmeccanici, ma anche la prima reazione pubblica all’accordo separato sul nuovo modello contrattuale del 22 gennaio. Quindi, è una giornata in cui si concentrano temi sindacali, a partire dal salario, passando per il nuovo regime di deroghe e finendo con la bilateralità, ma anche temi politici visto che, come è stato detto, è in atto un forte attacco alla democrazia. Liberazione intende accompagnare questo percorso con un approfondimento puntuale di tutti gli elementi sul tappeto.
Dino Greco
C’è una prima questione. Una manifestazione con sciopero generale indetta da Fiom e Fp, le due più forti categorie della Cgil, è un fatto inedito. Come lo è la circostanza che mentre si prova a contrapporre il lavoro pubblico al lavoro privato si dia un segnale in chiara controtendenza. Come e perchè è maturata questa scelta?
Gianni Rinaldini
Ci troviamo di fronte a una situazione eccezionale, caratterizzata da accordi separati che non hanno precedenti e dentro una operazione costruita con l’obiettivo esplicito di contrapporre lavoratori pubblici e privati. La nostra iniziativa nasce da una riunione congiunta del mese di luglio 2008 dei due direttivi a Torino che ragionavano sul fatto che era partita la campagna contro i cosiddetti fannulloni e, contemporaneamente, una trattativa con la Confindustria sul modello contrattuale. Era chiaro che questo preannunciava un intervento a tutto campo. Da qui la necessità di costruire una discussione ed una iniziativa comune, che non era scontata. E questo ha pesato anche nella discussione in Cgil, tanto è vero che lo sciopero del 13 non è che l’inizio di una ulteriore fase di mobilitazione che coinvolgerà l’insieme della Cgil fino alla manifestazione nazionale prevista per il 4 aprile. E’ di assoluto valore che questo sia avvenuto sulla base di scelte di merito che hanno superato discussioni che c’erano state in passato tra le due categorie.
Carlo Podda
L’idea semplice è poter contrapporre al “divide et impera” l’altrettanto vecchia regola secondo cui insieme ci si intende meglio. Parlandoci un po’ più da vicino, senza dimenticare, come diceva Rinaldini, che prima c’erano stati punti di vista diversi su alcune questioni, che probabilmente in parte permangono. Abbiamo tuttavia scoperto che erano molte di più le ragioni che potevano spingerci a metterci insieme e soprattutto ad individuare un terreno di azione comune. In particolare ci è sembrato che a differenza di quanto hanno fatto in questi anni i partiti della sinistra politica valesse la pena ricercare cosa fosse utile fare piuttosto che con chi farlo. E se questo qualcosa si potesse fare assieme. Ora, detto questo, penso che la precarietà è un dramma che attraversa sia il mondo del lavoro privato che il mondo del lavoro pubblico. La totale mancanza di sicurezza nella continuità del rapporto di lavoro e di qualsiasi ammortizzatore sociale, soprattutto nel caso di persone che non sono nemmeno più giovanissime, è una questione drammatica. Ricordo che le amministrazioni pubbliche sono considerate il maggior datore di lavoro precario. Si è scambiata la flessibilità per precarietà e si sono scambiati i lavori con forme di lavoro temporaneo per mansioni che non sono assolutamente temporanei, dalle maestre d’asilo agli infermieri, per passare ai poliziotti. Abbiamo segnalato noi al Viminale che c’erano duemila agenti della pubblica sicurezza che si trovavano in scadenza di contratto e che rischiavano di ritrovarsi in mezzo a una strada. Solo nel settore dell’auto più di cinquemila precari sono andati a casa. Nel pubblico impiego in gran parte si tratta di lavoratori della sanità e degli enti locali, persone che hanno un rapporto diretto con i cittadini, di gestione di erogazione dei servizi. A giugno sessantanovemila andranno a casa. Potrebbero diventare centoventimila nel 2010 per arrivare a più di duecentomila nel 2011.
Greco
E’ evidente che l’attacco è frontale. Ma allora perchè venerdì scendono in campo solo Fiom e Fp? State svolgendo, oggettivamente, un ruolo di traino nei confronti della confederazione? E’ così?.
Podda
Più che un ruolo di traino, preferisco pensarla così: ci ritroviamo nella condizione di avere il bisogno, e forse anche la forza, di provare a mettere in campo una iniziativa come questa. Lo sciopero in un periodo come questo è una cosa complicatissima. Si tratta di andare a chiedere alle persone di perdere dalle settanta alle cento euro a seconda della qualifica. Va poi detto che questa necessità, dopo il 22 gennaio, ce l’hanno tutte le categorie. Il 31 ottobre c’era già stato un accordo separato nel pubblico impiego. E lì giàerano già presenti tutti gli elementi che poi si sarebbero ripresentati: dall’alleggerimento delle forme di tutela e garanzia del contratto nazionale allo strozzamento della contrattazione integrativa. C’è la riduzione della democrazia, perché si pretende di concludere accordi con sindacati minoritari. Abbiamo visto tutto un po’ prima degli altri, così come abbiamo vista prima la crisi del Welfare perché quando i lavoratori delle cooperative sociali si sono visti ridurre nell’arco di pochi mesi da trentasei a dodici ore settimanali, così come un lavoratore dell’auto ha percepito prima degli altri la crisi perché ha cominciato a subire il ricorso alla cassa integrazione. Poi, certo, c’è una discussione, la Cgil è una organizzazione complessa e multicentrica, molto plurale al suo interno e bisogna che maturino le condizioni per tutti e nello stesso momento.
Rinaldini
Aggiungo il fatto che come meccanici abbiamo indetto una manifestazione nazionale e uno sciopero per il giorno 12 dicembre e la Fp aveva previsto lo sciopero per lo stesso giorno. E tutto poi era confluito positivamente nello sciopero generale proclamato dalla Cgil per la stessa giornata. E’ vero che le due categorie avevano messo in campo una serie di iniziative di carattere generale, cosa non prevista da altri sindacati di categoria. Va da sè che, a fronte dell’accordo separato sul modello contrattuale, Fiom ed Fp abbiano ragionato su una iniziativa comune. Capisco che questo si è prestato alle più svariate letture, ma sarebbe stato assurdo se a quel punto i metalmeccanici e la funzione pubblica facessero due scioperi generali con manifestazioni nazionali nell’arco di una settimana.
Greco
Torniamo al 22 gennaio, alla madre di tutti gli accordi separati, quello sulle regole. Non è più il confronto di merito su questo o quel contratto. Qui siamo davanti a una accordo che disciplina l’intero sistema della contrattazione e ne esclude il maggior sindacato italiano. E una dichiarazione di ostilità contro la Cgil, un vero e proprio patto ad escludere, voluto da governo, confindustria, con Cisl e Uil corrive. Nel merito, il primo punto che balza agli occhi è la messa in mora del contratto nazionale attraverso la riduzione programmata del salario e le deroghe territoriali al contratto nazionale. Una attacco dall’alto e dal basso. Che valutazioni fate?
Rinaldini
Intanto, noi siamo di fronte a un accordo separato sulla struttura contrattuale, che è cosa diversa dalla stipula, pur grave, di un accordo separato su un singolo contratto. Tanto è vero che una cosa simile non era mai avvenuta, nemmeno negli anni ’50, in un momento di massima divisione sindacale. Quell’accordo precostituisce adesso e per il futuro un assetto che comporta la definizione di limiti assai pesanti per i contratti nazionali. Nel merito, c’è la riduzione, secca, del potere di acquisto dei salari. Aggiungo, già a partire dalla riduzione del valore del punto oltre che rispetto all’inflazione. Per capirci, si passerebbe dai diciotto euro attuali ai quindici euro. Oltre al fatto che c’è l’apertura ad un processo di scardinamento del contratto nazionale con le deroghe e la messa in discussione del diritto di sciopero, soltanto per ora limitata ai dipendenti pubblici. Non caso tra quindici giorni il Consiglio dei ministri discuterà le regole sul diritto di sciopero. Qui torna la questione cruciale della democrazia, che è in questa fase assolutamente decisiva. Bisogna prendere coscienza che siamo di fronte all’espropriazione totale dei lavoratori e delle lavoratrici del diritto di decidere su piattaforme ed accordi dei futuri contratti. Siamo di fronte ad un passaggio che rende esplicita una idea di utilizzo della crisi per ridefinire l’assetto delle relazioni sociali, reinscrivendole dentro una pesante torsione autoritaria. Chi sta dentro il quadro bene, chi non sta dentro è considerato un nemico da distruggere. Credo che questo sia un aspetto dei processi a livello sociale che sta in rapporto con una idea complessiva di assetto istituzionale del Paese che vede pesantemente compromessa la democrazia.
Podda
Aggiungo che c’è una riduzione della base di calcolo del 30%. Di solito facciamo riferimento ad una base di 25mila euro lordi, comprensiva del salario accessorio. Nell’accordo c’è scritto che d’ora in poi si farà riferimento ai cosiddetti elementi stipendiali. Ciò significa che questo 30% non potrà più essere calcolato. Una diminuzione programmata del potere di acquisto delle retribuzioni.
Greco
Già miserabili…
Podda
Si, già miserabili. L’ha ricordato Carniti qualche giorno fa. Noi avevamo presentato una piattaforma unitaria che doveva cominciare ad invertire questa tendenza. Il risultato è che ci hanno cucito addosso un modello contrattuale che è nettamente peggiorativo rispetto a quello del 23 luglio. Quanto alla democrazia, è utile ricordare che, pur con tutti i limiti e le difficoltà, Cgil, Cisl e Uil, anche con giudizi diversi, erano sempre ricorse alla prova di un giudizio generalizzato da parte dei lavoratori. Questo diritto viene oggi negato con motivazioni risibili. La stessa struttura contrattuale tende ad allontanare i lavoratori dal proprio contratto. Pensate al ruolo delle categorie, dove l’incremento delle retribuzioni viene fatto in base a un indice stabilito da un’autorità terza, e il riallineamento avviene con un accordo interconfederale. Il ruolo del sindacato di categoria mi sembra mortificato.
Greco
Stai dicendo che si è voluto disegnare un sistema di relazioni industriali imperniato su una fortissima centralizzazione che lede in profondità l’autonomia delle categorie…
Podda
Assolutamente. Ricordo che l’accordo del 23 luglio consentiva aumenti largamente al di sopra dell’inflazione programmata, come è avvenuto nel caso dell’ultimo contratto dei metalmeccanici. Non era un vincolo, ma una scelta di automoderazione a condizione che ci fosse un accordo di politica generale su prezzi e tariffe e politica generale di tutti i redditi. Poi ne è stata data una lettura che ha provocato un effetto di contenimento dei salari che ha provocato quegli effetti distorsivi che ricordavo prima. Oggi siamo in presenza di una cosa molto diversa. Il governo affronta la crisi con questo sistema ridisegnando una nuova distribuzione del reddito e un nuovo modello sociale più autoritario prospettando di far uscire il Paese dalla crisi ancora più diseguale e ancora più autoritario. Non a caso Sacconi ha detto che con questo accordo ci liberiamo di uno degli ultimi orpelli del ’68. E questo perché l’ideologia che guida l’azione di questo Governo è esattamente questa, demolire il riscatto del lavoro e delle classi sociali.
Greco
L’accordo separato è stato venduto spiegando che il depotenziamento del contratto nazionale sarebbe compensato dallo sviluppo della contrattazione integrativa che si vuole vincolata ad incrementi di produttività. Oltretutto non si capisce in virtù di quale prodigio essa dovrebbe estendersi. L’unica cosa che si introduce è questa sorta di mancia di cui beneficerebbero i lavoratori delle aziende ove non si esercita la contrattazione integrativa.
Rinaldini
Il fatto che adesso ci sarebbe una contrattazione integrativa legata alla produttività è tutta una bugia perché già c’é. Quale è la novità, se non il fatto che ci troviamo di fronte a uno schema sulla parte retributiva che prevede un contratto nazionale che non copre il potere di acquisto e aumenti aziendali completamente variabili. Si fa presto a capire cosa vuol dire questa dinamica sul piano redistributivo generale e sulla condizione di lavoratori. L’altro aspetto che lì è esplicitato è che nel livello aziendale c’è solo ciò che viene rinviato dal livello nazionale. Quindi c’è anche una riduzione del ruolo della contrattazione articolata, altro che valorizzazione. Ed è un ruolo che la riconduce alle condizioni di bilancio e di redditività delle imprese. Scompare l’autonomia del sindacato e una contrattazione aziendale che sia in grado di intervenire complessivamente sull’organizzazione del lavoro in fabbrica. Tra l’altro, anche per quanto riguarda le piccole imprese, non c’è alcun elemento di novità se non una flebile copertura in tutte le situazioni dove non c’è la copertura aziendale. E’ quello che nei metalmeccanici è chiamato elemento perequativo.
Podda
Tutte cose vere, ma noi abbiamo un tema in più. Il testo della riforma Brunetta prevede che il contratto potrà derogare da leggi, statuti e regolamenti. Così addio al contratto nazionale.
Greco
…Con buona pace del giuslavorismo moderno che vede proprio nell’indisponibilità della norma lo strumento per proteggere la parte più debole dalla sua stessa debolezza. C’è un terzo punto di quell’accordo: la proliferazione di strutture bilaterali che trasformano il welfare universale in welfare contrattuale. Mi pare si inauguri una pratica corporativa, consociativa e aconflittuale che cambia in radice la natura del sindacato. E’ così?
Podda
Credo che la prima conseguenza riguardi la cittadinanza. Così ci apprestiamo a liquidare lo Stato sociale. Ci sarà anche chi l’ente bilaterale non ce l’avrà affatto e chi ce l’avrà di serie B. Tutto in perfetta continuità con il Libro verde di Sacconi.
Rinaldini
Gli enti bilaterali sono parte di un progetto complessivo che usa la crisi per ridefinire l’assetto delle relazioni sociali. Uso il termine che ha usato Sacconi nel presentare l’accordo: passare da rapporti conflittuali a rapporti di complicità tra lavoratori e imprenditori. Il conflitto in questo schema è un fatto eversivo e non la linfa stessa della democrazia. Esso viene eliminato non in forza di buoni accordi tra le parti, ma con dispositivi di legge. Dal diritto di sciopero agli enti bilaterali c’è un percorso di frantumazione dei diritti universali. In questo sta a mio avviso il rapporto con le vicende istituzionali e politiche. Il nostro non è un Paese granitico nella sua storia democratica e nell’equilibrio dei diversi poteri. Non a caso tutte le scelte odierne vengono sempre presentate esplicitamente come una svolta o una rottura rispetto alle fasi delle conquiste democratiche nel nostro Paese. La democrazia, insisto, diventa una questione centrale. Impedendo ai lavoratori di intervenire sulle loro condizioni si palesa un’ aggressione alla costituzione materiale del paese.
Greco
In effetti, con l’attacco al diritto di sciopero, siamo al compimento di un progetto reazionario. E si comincia dai lavoratori pubblici.
Podda
Lo sciopero è un diritto individuale esercitato collettivamente. Mi pare che tutto sia molto chiaro rispetto al profilo autoritario che il governo va assumendo su democrazia e contrattazione, senza parlare delle contrapposizioni tra nativi e migranti e tra uomini e donne. Come disse Epifani quando si insediò il governo Berlusconi, siamo in una fase diciannovista. C’è una mutazione autoritaria del nostro Paese.
Greco
Due domande conclusive. La prima riguarda, la proposta di un contratto “unico” unico, avanzata da Tito Boeri che di fatto toglie di mezzo l’articolo 18.
Rinaldini
C’è la proposta di Boeri ma anche quella di Ichino, che mi pare peggiorativa rispetto alla prima. A me pare che le vicende della crisi ci indichino che tutta la legislazione sul lavoro e sul mercato del lavoro vada rivista. E questo perché ormai è chiaro che la questione non è più quella dei picchi produttivi. Il lavoro precario viene usato come polmone e i lavoratori soggetti a ricatto quotidiano. Noi dobbiamo ricondurre tutto al rapporto a tempo indeterminato. La proposta di Boeri, tra l’altro, è aggiuntiva, cioè si somma e non sostituisce le forme di precariato oggi esistenti.
Greco
Per un momento, guardiamo oltre oceano. Obama fa una operazione “roosveltiana” che prevede il rafforzamento del sindacato come funzionale alla ripresa dello sviluppo. In Italia si marcia nella direzione opposta.
Sebastiani
Ancora una cosa. Credo che la fase precedente, quella del ’93 sia in continuità con quella attuale. Non è che il sindacato abbia perso del tempo prezioso per rafforzare il vincolo democratico con i lavoratori?
Podda
Obama introduce l’idea del tetto nelle retribuzioni dei manager privati. Bisogna riguadagnare la possibilità di rovesciare la piramide sulla quale siamo stati seduti fino adesso. Per fare questo abbiamo bisogno di grande consenso delle persone in carne ed ossa e di rinsaldare i vincoli democratici. Abbiamo perso del tempo? Se stiamo in queste condizioni non è bene dare sempre tutta la responsabilità agli altri. Ci sarà tempo e modo di discuterne. Statutariamente non siamo molto lontani dal congresso della Cgil. Dovessi provare a spiegare a un lavoratore quale possa essere il modello condiviso in tutta la Cgil avrei qualche difficoltà. Il 13 vorremmo cominciare a dire alcune cose: continuità del rapporto di lavoro, ammortizzatori sociali più ampi e più estesi, e defiscalizzazione del salario nazionale. E poi bisogna che la piantina cresca e duri almeno quanto questa legislatura perché è chiaro che il Governo vuole far fuori la Cgil. Considero sbagliata la ricetta proposta da Boeri, considererei però un errore chiudere la ricerca su quel tema.
Rinaldini
Per quanto riguarda Obama, occorrerà vedere se sarà in grado di cambiare le leggi vigenti sul sindacato. Un passaggio delicato e di grande importanza per capire il segno sociale di quel processo. Sull’altra questione, quella del ’93 e la discontinuità. Oggi c’è un elemento da cui non si può prescindere: siamo in una fase in cui si mette in discussione la Costituzione. Dal punto di vista delle vicende sindacali va considerato che prima del ’93 c’è stato il ’92 e ancor prima il lodo Scotti, quando è iniziativa la concertazione. Il problema del sindacato e dell’intera sinistra politica è non aver mai affrontato una discussione vera sul processo che veniva avanti, sui caratteri della globalizzazione e sulla ridefinizione degli assetti sociali e del ruolo del sindacato.