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>ROMANIA: SONDAGGIO, UN ROMENO SU DUE RIMPIANGE COMUNISMO

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ROMANIA: SONDAGGIO, UN ROMENO SU DUE RIMPIANGE COMUNISMO

(ANSA) – BUCAREST, 23 SET – Un romeno su due ritiene che si vivesse meglio durante il regime comunista, crollato nel dicembre 1989: lo stima un sondaggio commissionato dall’Istituto per l’investigazione dei crimini del comunismo e la memoria dell’esilio romeno (Iiccmer).
I risultati del sondaggio, condotto dall’agenzia Csop e divulgato oggi, indicano inoltre che il 25% dei romeni e’ convinto l’ex dittatore Nicolae Ceausescu abbia fatto del bene al Paese, contro il 15% di avviso opposto. Il 40% degli intervistati definisce comunque criminale il regime comunista. Inoltre, il 75% considera che gli ex agenti e collaboratori della Securitate, la famigerata polizia politica comunista, non dovrebbero piu’ ricoprire incarichi pubblichi o dovrebbero dimettersi se ne rivestono. Intervistato dalla radio pubblica Romania Actualitati, il direttore dell’Iiccmer, Adrian Cioflanca, ha spiegato che dal sondaggio risulta che la gente
non condanna il comunismo nel suo insieme ma solo certi aspetti, che confronta col presente, come le case o i posti di lavoro che il regime assicurava alla popolazione. (ANSA).

Apc-Romania/ Per un romeno su due si stava meglio sotto comunismo
Sondaggio rileva grandi timori per situazione economica

Bucarest, 23 set. (Apcom-Nuova Europa) – In Romania resiste la nostalgia per il comunismo: un cittadino su due dichiara che si viveva meglio prima del dicembre 1989, contro un 23% che ritiene fosse peggio e un 14% che non vede nessuna differenza. E’ questo il risultato di un sondaggio realizzato dall’Istituto di indagini sui crimini el comunismo e dall’istituto CSOP.
Dal sondaggio si evince che la visione rosea del passato frutto dei timori per il presente, essenzialmente di natura economica: il 62% oggi preoccupato dall’instabilit del panorama lavorativo, dal livello di vita (26%), e dall’accesso alla proprietà (19%).
L’aspetto più negativo del comunismo risulta la mancanza di libertà, citata dal 69% dei consultati. Ma per il 23% l’ex dittatore Nicolae Ceausescu “ha fatto del bene” alla Romania.

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Written by eneaminghetti

settembre 23, 2010 at 3:11 PM

Pubblicato su comunismo, nostalgia, romania

>Ha avuto ragione lui. Non sono incazzato ma definitivamente rassegnato

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>”E il futuro della Cosa nata a sinistra? È evidente che molto dipenderà dal risultato elettorale, ma il presidente della Camera lo vede comunque unitario: «Un soggetto unico, democratico e partecipato». Dentro il quale il comunismo sarà una «tendenza culturale». Al pari di quella «ecologista e femminista»”

Firmato: Fausto Bertinotti (aprile 2008)

“[…]A tal fine la Federazione riconosce e valorizza le diverse identità politico-culturali che sono maturate nell’ambito del movimento operaio, del movimento socialista e comunista, del movimento ambientalista, del movimento femminista, GLBTQ e dei diritti civili ed in generale nelle lotte per la libertà e giustizia che si sono espresse nel movimento altermondialista”

Dal manifesto politico della federazione della sinistra

Written by eneaminghetti

dicembre 7, 2009 at 9:19 am

>Coscienza e totalitarismo. Vergogna al PE

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A questo link il testo della risoluzione approvata:
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2009-0213&language=IT&ring=P6-RC-2009-0165

Qui la lista dei votanti (pag 103 del file pdf):
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+PV+20090402+RES-RCV+DOC+PDF+V0//IT&language=IT

da Collettivo Autorganizzato dell’Università di Napoli
cau.noblogs.org/post/2009/04/21/verso-il-25-aprile…-chi-controlla-il-passato-controlla-il-futuro

“Chi controlla il passato controlla il futuro”
Riscrittura della storia e criminalizzazione del dissenso nell’Unione Europea
a cura Collettivo Autorganizzato Universitario
Lo scorso 2 aprile il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che sancisce l’equiparazione di nazismo, fascismo e comunismo. Questa risoluzione si basa sul revisionismo storico più sfacciato, spiana la strada ad un uso sempre più indiscriminato del “reato di opinione”, estromettendo dal dibattito storico-politico ed imbavagliando chiunque esprima parere contrario alla Verità di Stato che è stata costruita. A pochi giorni dall’anniversario della Liberazione ci sembra fondamentale ricordare chi fu vittima e chi invece carnefice e quali realmente furono le forze capaci di liberare l’Italia e l’Europa dal nazifascismo.
di seguito una nostra riflessione in merito alla risoluzione…
Fra qualche mese saremo chiamati a dare ancora una volta il nostro voto alle elezioni europee: andremo a fare il nostro dovere di bravi cittadini, scegliendo questo o quel partito – in perfetta libertà – un sorriso di soddisfazione quando avremo messo la scheda nell’urna… Tutto bene, dunque. Ma ci siamo mai chiesti, fuori dalla retorica dominante, cos’è l’Unione Europea, quale sia il progetto di questa gigantesca realtà politico-economica, su cosa intenda fondare la sua unità? Domande apparentemente banali, certamente legittime, che forse ci potrebbero far capire qualcosa in più sulla nostra situazione concreta, su ciò che viviamo ogni giorno.
Un’occasione per fare queste profonde riflessioni ci è offerta da una Risoluzione approvata il 2 aprile 2009 dal Parlamento Europeo. Accolta favorevolmente da 553 deputati (con soli 44 no e 33 astensioni), degna dunque di tutta la nostra considerazione, la Risoluzione verte sul nobile tema: “Coscienza europea e totalitarismo”. A guardare il messaggio manifesto, pare ci si voglia spiegare secondo quali bei principi si intende costruire lo spazio della “civiltà europea”. Ma in verità, grattando solo un po’, escono fuori gli interessi ben poco edificanti di chi vuole riscrivere la storia, limitare la ricerca scientifica e proibire certe opinioni politiche.
Ma vediamo meglio il testo della Risoluzione, partendo da quella sfilza di “visto…” che in ogni documento ufficiale traccia la mappa dei riferimenti ideali, il solco in cui il nuovo provvedimento si inserisce. Eccoli qui: la Risoluzione 1481 del Consiglio d’Europa (26/01/06) “relativa alla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti”, la Proclamazione della “Giornata europea della memoria per le vittime dello stalinismo e del nazismo” (23/09/08), la Dichiarazione di Praga (3/06/08) sulla “Coscienza europea e il comunismo”… Pare insomma che intorno a questo tema negli ultimi tempi si stanno dando parecchio da fare a Bruxelles. Eppure con la crisi economica che avanza il problema non è proprio scottante… Oppure si?
C’è infatti un’altra cosa che colpisce in quest’elenco di provvedimenti e Dichiarazioni di diritti fondamentali dell’uomo (puntualmente disattese): il riferimento alla decisione quadro del Consiglio d’Europa (28/11/2008), relativo alla “lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”. Si tratta di una decisione che autorizza a punire penalmente chi, attraverso pubblicazioni e discorsi, incita all’odio contro lo straniero. Un encomiabile provvedimento, non c’è che dire. Ma che c’entra in questo contesto? Semplice: questo provvedimento, ed altri affini, servono come base giuridica per imbastire nei singoli paesi europei i processi contro chi fornisce un’altra versione della storia europea. Attenzione: non si tratta solo di colpire le schifose menzogne dei negazionisti! Attraverso un uso davvero spregiudicato del “reato d’opinione” si mira a restringere lo spazio delle cose che possono essere dette. Così criticare la politica dello Stato di Israele ci fa immediatamente diventare antisemiti, dunque razzisti, dunque condannabili. E riferirsi al comunismo ci fa immediatamente appartenere ad una supposta schiera demoniaca che predica l’odio e instaura dittature e gulag. Che nella “libera” UE, insomma, la censura diventi esplicita, passi in sentenza, dopo essere puntualmente in atto in ogni media ed in ogni istituzione accademica?
Una lettura delle considerazioni preliminari della Risoluzione ci conferma in quest’interpretazione: “Considerando che nessun organo o partito politico detiene il monopolio sull’interpretazione della storia… che le interpretazioni politiche ufficiali dei fatti storici non dovrebbero essere imposte attraverso decisioni a maggioranza… che un parlamento non può legiferare sul passato…”. Più che ipocrite, queste frasi rappresentano una curiosa, colpevole ammissione: negano ad alta voce esattamente ciò che sono impegnate a fare. Lo scopo della Risoluzione è infatti proprio quella di mettere dei paletti ben precisi alla storia europea, e condividerli in tutti i paesi attraverso una votazione. Bisogna infatti “porre le basi di una riconciliazione basata sulla verità e la memoria”.
Ecco un dato davvero inquietante: questo richiamo alla “verità”, quest’idea che possa essere imposta dall’alto. Viene da chiedersi: non è proprio quest’uso della Verità quello che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”? In ogni caso ecco la nuova versione della storia europea: “l’integrazione… è stata una riposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista… e all’espansione dei regimi comunisti totalitari e non democratici dell’Europa centrale e orientale, nonché un mezzo per superare profonde divisioni… attraverso la cooperazione e l’integrazione, ponendo fine alle guerre e garantendo la democrazia”.
Davvero consolante, questa visione delle cose. Ma c’è da dubitarne: innanzitutto l‘integrazione, più che aspirazione umanistica, è stata ed è tuttora un fenomeno eminentemente economico e, attraverso la NATO e la costruzione dell’esercito Europeo, anche militare. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale quest’integrazione è servita a tutelare, in un’alleanza strategica, gli interessi delle borghesie dei singoli paesi occidentali – che si trattasse di commerciare carbone ed acciaio, o di sconfiggere le lotte sociali e le rivoluzioni al di qua della cortina di ferro (si pensi alla Grecia, in cui le forze anglo-americane intervennero negli anni ’40 per sconfiggere una rivoluzione vincente).
In secondo luogo, l’integrazione non ha assolutamente posto fine alle guerre in Europa: basti pensare alla Serbia ed al Kosovo, dove l’UE è andata allegramente a bombardare (ah già, ma loro non sono “europei”…). Se poi parliamo delle guerre nel mondo, quelle non hanno mai smesso di aumentare dalla caduta dell’URSS, e l’UE, costituitasi come vera potenza in un mondo “multipolare”, vi ha ben contribuito mandando i suoi soldati in Somalia, Afganistan, Iraq…
La storia della “democrazia garantita”, poi, rasenta il ridicolo: mentre qualche decennio fa la democratica Germania Ovest metteva il partito comunista fuori legge ed i servizi segreti italiani preparavano stragi e colpi di Stato, oggi l’UE blinda le sue frontiere, causando la morte di migliaia di migranti, e militarizza lo spazio interno, schierando i soldati nelle sue metropoli, reprimendo chiunque manifesti idee differenti dal neoliberismo imperante. Senza parlare di interi popoli, come quello basco, ancora oppressi, o del controllo pressoché monopolistico dell’informazione, ci sarebbe da chiedersi che voglia dire “democrazia” per questi signori, se non il procedimento formale dell’elezione, sul cui senso peraltro ci sarebbe parecchio da dire (dalla scarsa partecipazione alle varie leggi “truffa”, con soglie di sbarramento e premi di maggioranza…).
Così l’integrazione viene presentata come “modello di pace e riconciliazione”, “libera scelta dei popoli europei a impegnarsi per un futuro comune”. E poco importa che i suddetti popoli abbiano votato più volte NO alla Costituzione ed al Trattato europeo… Con l’UE non si scherza! E infatti, seguendo la dottrina bushiana della “prevenzione” e dell’“esportazione della democrazia”, il Parlamento dichiara che l’UE “ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia… sia all’interno che all’esterno del suo territorio”!
Ma veniamo al punto essenziale della Risoluzione: il rapporto dell’Europa con il “totalitarismo comunista”. Qui si esercita la propaganda più becera: sparisce dalla memoria europea il colonialismo e l’imperialismo, la feroce spartizione del mondo in nome del profitto che ha portato milioni di persone alla morte, alla fame, al sottosviluppo; sparisce l’immane carneficina prodotta proprio da quelle logiche di accumulazione e conflitto intercapitalista, ovvero la Prima Guerra Mondiale; spariscono le responsabilità delle potenze vincitrici che vollero affossare e punire la Germania di Weimar, generando così il nazismo; sparisce l’attacco delle forze polacche, francesi e inglesi contro la giovane Unione Sovietica per affossare la Rivoluzione… Si arriva così a chiedere di consacrare il 23 agosto, data del patto Molotov-Ribentropp, alla memoria delle vittime del totalitarismo. Come se la Seconda Guerra Mondiale e le sue vittime non fossero state prodotte da ben altri accordi, quelli “pubblici” di Monaco, dove Francia e Inghilterra appoggiarono le deliranti pretese di Hitler e quelli “privati”, per cui il Terzo Reich doveva essere salvaguardato in quanto baluardo contro il contagio comunista. Con buona pace della Repubblica spagnola, uscita vincente dalle elezioni, ma condannata dal non intervento di Francia e Inghilterra dopo il colpo di Stato nazifascista…
Tutto insomma accade come se da un lato ci fossero i buoni, l’“Europa pacifica e prospera, fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto”, e dall’altro i cattivi, non democratici, comunisti, che inspiegabilmente però hanno goduto di un supporto popolare notevole, hanno sconfitto il nazifascismo, stabilizzato zone da secoli teatro di faide e rivolte, hanno permesso la modernizzazione e lo sviluppo, hanno lottato ovunque per la pace e l’estensione dei diritti in tutti i campi della vita collettiva.
Così, non soltanto gli scambi fra i regimi democratici e quelli “totalitari”, comprovati negli anni ’30 così come oggi, sono ignorati; non solo gli omicidi politici e le torture delle polizie “democratiche” occidentali non sono menzionate, non soltanto “gli eroi dell’epoca totalitaria” che ci si propone di commemorare sono spesso stati leader di formazioni filonaziste riciclate (si pensi ai paesi baltici, alla Croazia, alla Romania)… La cosa che nella Risoluzione colpisce è che tutta la complessità che si domanda all’analisi delle nostre società capitaliste, è negata a quelle del socialismo reale, contraddittori ma significativi esperimenti di democrazia effettiva, rappresentati come il regno dell’arbitrio di un pugno di esaltati, schiacciati sulle loro mancanze. Ma non è proprio una visione del mondo manichea quella che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”?
Ancor di più, si assiste ad un’operazione di torsione del linguaggio che mira a stravolgere il senso stesso delle parole. Siccome il termine “comunista” non è ancora abbastanza squalificato, bisogna associarlo a qualcosa di terribile. Ecco come lavora l’ideologia: non solo al livello dei contenuti evidenti, ma sulle stesse forme espressive.
Allora si prende un termine oggettivamente squalificato come “totalitario” (saltando a piè pari sul fatto che questa definizione, secondo gli storici, è a malapena calzante per il nazismo e lo stalinismo), lo si associa con altri termini vicini, ma per nulla coincidenti e soprattutto vaghi, come “antidemocratico” e “autoritario”, e li si rende interscambiabili. Tutto ciò che non rientra nei canoni della democrazia borghese, è ipso facto diventato totalitario. I regimi dell’Est erano differenti dalla nostra democrazia, dunque erano totalitari – anche se si chiamavano “democrazie popolari” (strana ironia la loro, eh?). Ma questi regimi erano comunisti, dunque tutti i comunisti sono totalitari. E il totalitarismo è l’unica cosa che la democrazia non può tollerare. Dunque la democrazia non può tollerare il comunismo. E si deve impegnare affinché questo crimine non ritorni più.
Attraverso un uso ingiustificato e ripetitivo delle parole e delle loro associazioni, il “comunismo totalitario” è così inculcato, diventa materia non opinabile. Così, fra poco, ci dice ancora il documento, “un’Europa unificata celebrerà il 20° anniversario del crollo delle dittature comuniste”: si dà per scontato il festeggiamento, senza dire cosa ha comportato questo crollo, in termini di vite umane, di aumento della povertà, diminuzione dei diritti, emigrazione di milioni di uomini e donne, sacrificati allo sfruttamento ed alla prostituzione…
Bisogna comprendere che queste risoluzioni segnano un salto di qualità del revisionismo storico. Con l’equiparazione tra comunismo e nazismo (negata da qualsiasi storico serio, e da tutti i maggiori intellettuali europei del novecento, da Thomas Mann a Primo Levi), non si vogliono solo svilire gli ideali di chi ha combattuto per la giustizia e la libertà, né emarginare culturalmente e socialmente persone che hanno opinioni “scomode”. Si tratta di preparare le condizioni per la loro punizione, e di dissuaderli preventivamente a dichiarare le proprie idee. Queste operazioni ideologiche hanno insomma degli effetti concreti. Ispirando la pubblicazione di studi che si rovesceranno nelle università e nei manuali scolastici, utilizzando la Giornata della Memoria come spunto per violente campagne mediatiche, riscrivendo la storia d’Europa come conviene a chi vuole autolegittimarsi, si tenterà di togliere il terreno a chi lavora per una trasformazione dell’esistente.
Dietro la bandiera della lotta al “totalitarismo comunista” si cela quindi la lotta a qualsiasi forma di lotta sociale, di conflitto radicale, in nome di un presunto “equilibro” e di una “moderazione” funzionali alle esigenze del capitale. La criminalizzazione del comunismo coinvolge a largo spettro chiunque non nasconda il suo dissenso, lotti per la sua sopravvivenza, opponendosi ai licenziamenti, occupando una casa, una fabbrica, una facoltà, impedendo che si apra l’ennesima base militare o la discarica sotto casa. Mettendo fuori legge quella parola si mette fuori legge quello che quella parola vuol dire. E si inventano dei nemici, per dimenticarci quelli che abbiamo in casa. Utile, soprattutto in tempo di crisi.
In 1984 di George Orwell “l’eroe dell’epoca totalitaria” passava le sue giornate a rivedere i dizionari, a lavorare alacremente per far sparire certe parole, per creare una neolingua, ben epurata, che impedisse di pensare la dissidenza. Cancellava articoli di giornale, riscriveva la storia, perché “chi controlla il passato controlla il futuro”. Forse un regime capitalista non ha troppo bisogno di parate o di adunate: è tutto molto dispendioso. All’UE bastano le leggi di mercato, i media, la polizia, qualche intellettuale compiacente. Soprattutto, gli basta fabbricare ad arte l’ignoranza e la paura.

Written by eneaminghetti

aprile 23, 2009 at 8:05 am

>Bertinotti e il comunismo

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>BERTINOTTI, COMUNISMO PAROLA INDICIBILE

(ANSA) – ROMA, 3 OTT – ”Comunismo e’ una parola indicibile.
Se fermi qualcuno per strada e gli dici: io sono comunista,
quello non ti capisce”. La svolta di Fausto Bertinotti e’ nel
libro di Bruno Vespa ”Viaggio in un Italia diversa uscito oggi
da Mondadori” edito dalla Rai-Eri.
Di qui la necessita’ di una nuova costituente di sinistra.
Di qui, secondo Bertinotti l’errore di Ferrero di guardare con
simpatia a Di Pietro ”perche’ non ti fermi piu’ se dal
comunismo precipiti nel populismo”.
Bertinotti riconosce che nessuno, a parte la Caritas ”ha
capito davvero per tempo quale tragedia sociale abbia prodotto
la perdita di potere d’acquisto dei salari. Perche’ tutto questo
disastro rovinato addosso alla sinistra? Innanzitutto perche’,
vista la nostra efficacia ci hanno considerato inutili. Il
governo dell’ Unione ha colpito l’unica risorsa della sinistra
radicale: il suo deposito di coerenza e credibilita”’.
La conclusione: ”pur essendo stato fatto cadere da destra,
anche per la sinistra questo governo ha avuto un bilancio
impresentabile”. E Prodi, chiede Vespa? ”C’e’ sempre stata una sua sordita’. Nelle rare occasioni in cui si sono fatte valere
un cambio di passo, mi e’ sembrato impossibile averne un
riscontro”.

Written by eneaminghetti

ottobre 3, 2008 at 11:52 am

>APPELLO – COMUNISTI UNITI

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COMUNISTE E COMUNISTI: COMINCIAMO DA NOI

WWW.COMUNISTIUNITI.IT

Dopo il crollo della Sinistra Arcobaleno, ci rivolgiamo ai militanti e ai dirigenti del Pdci e del Prc e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia

Siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale. Abbiamo storie e sensibilità diverse: sappiamo che non è il tempo delle certezze. Abbiamo il senso, anche critico, della nostra storia, che non rinneghiamo; ma il nostro sguardo è rivolto al presente e al futuro. Non abbiamo nostalgia del passato, semmai di un futuro migliore. Il risultato della Sinistra Arcobaleno è disastroso: non solo essa ottiene un quarto della somma dei voti dei tre partiti nel 2006 (10,2%) – quando ancora non vi era l’apporto di Sinistra Democratica – ma raccoglie assai meno della metàdei voti ottenuti due anni fa dai due partiti comunisti (PRC e PdCI), che superarono insieme l’8%. E poco più di un terzo del miglior risultato dell’8,6% di Rifondazione, quando essa era ancora unita. Tre milioni sono i voti perduti rispetto al 2006. E per la prima volta nell’Italia del dopoguerra viene azzerata ogni rappresentanza parlamentare: nessun comunista entra in Parlamento. Il dato elettorale ha radici assai più profonde del mero richiamo al “voto utile”:risaltano la delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l’emergere in settori dell’Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell’autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anticapitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito Democratico e ad una logica di alternanza di sistema.

E’ giunto il tempo delle scelte: questa è la nostra
adesion.jpgNon condividiamo l’idea del soggetto unico della sinistra di cui alcuni chiedono ostinatamente una “accelerazione”, nonostante il fallimento politico-elettorale. Proponiamo invece una prospettiva di unità e autonomia delle forze comuniste in Italia, in un processo di aggregazione che, a partire dalle forze maggiori (PRC e PdCI), vada oltre coinvolgendo altre soggettività politiche e sociali, senza settarismi o logiche auto-referenziali. Rivolgiamo un appello ai militanti e ai dirigenti di Rifondazione, del PdCI, di altre associazioni o reti, e alle centinaia di migliaia di comuniste/i senza tessera che in questi anni hanno contribuito nei movimenti e nelle lotte a porre le basi di una società alternativa al capitalismo, perché non si liquidino le espressioni organizzate dei comunisti ed anzi si avvii un processo aperto e innovativo, volto alla costruzione di una “casa comune dei comunisti”. Ci rivolgiamo: -alle lavoratrici, ai lavoratori e agli intellettuali delle vecchie e nuove professioni, ai precari, al sindacalismo di classe e di base, ai ceti sociali che oggi “non ce la fanno più” e per i quali la “crisi della quarta settimana” non è solo un titolo di giornale: che insieme rappresentano la base strutturale e di classe imprescindibile di ogni lotta contro il capitalismo; -ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale, nella consapevolezza che nel nostro tempo la lotta per il socialismo e il comunismo può ritrovare la sua carica originaria di liberazione integrale solo se è capace di assumere dentro il proprio orizzonte anche le problematiche poste dal movimento femminista; -ai movimenti contro la guerra, internazionalisti, che lottano contro la presenza di armi nucleari e basi militari straniere nel nostro Paese, che sono a fianco dei paesi e dei popoli (come quello palestinese) che cercano di scuotersi di dosso la tutela militare, politica ed economica dell’imperialismo; -al mondo dei migranti, che rappresentano l’irruzione nelle società più ricche delle terribili ingiustizie che l’imperialismo continua a produrre su scala planetaria, perchè solo dall’incontro multietnico e multiculturale può nascere – nella lotta comune – una cultura ed una solidarietà cosmopolita, non integralista, anti-razzista, aperta alla “diversità”, che faccia progredire l’umanità intera verso traguardi di superiore convivenza e di pace. Auspichiamo un processo che fin dall’inizio si caratterizzi per la capacità di promuovere una riflessione problematica, anche autocritica. Indagando anche sulle ragioni per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della “rifondazione comunista” non sia stata capace di costruire quel partito comunista di cui il movimento operaio e la sinistra avevano ed hanno bisogno; e come mai quel processo sia stato contrassegnato da tante divisioni, separazioni, defezioni che hanno deluso e allontanato dalla militanza decine di migliaia di compagne/i. Chiediamo una riflessione sulle ragioni che hanno reso fragile e inadeguato il radicamento sociale e di classe dei partiti che provengono da quella esperienza, ed anche gli errori che ci hanno portati in un governo che ha deluso le aspettative del popolo di sinistra: il che è pure all’origine della ripresa delle destre. Ci vorrà tempo, pazienza e rispetto reciproco per questa riflessione. Ma se la eludessimo, troppo precarie si rivelerebbero le fondamenta della ricostruzione. Il nostro non è un impegno che contraddice l’esigenza giusta e sentita di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra che non rinunciano al cambiamento. Né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie. Ma tale sforzo unitario a sinistra avrà tanto più successo, quanto più incisivo sarà il processo di ricostruzione di un partito comunista forte e unitario, all’altezza dei tempi. Che – tanto più oggi – sappia vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni, perché solo il radicamento sociale può garantire solidità e prospettive di crescita e porre le basi di un partito che abbia una sua autonoma organizzazione e un suo autonomo ruolo politico con influenza di massa, nonostante l’attuale esclusione dal Parlmento e anche nella eventualità di nuove leggi elettorali peggiorative. La manifestazione del 20 ottobre 2007, nella quale un milione di persone sono sfilate con entusiasmo sotto una marea di bandiere rosse coi simboli comunisti, dimostra – più di ogni altro discorso – che esiste nell’Italia di oggi lo spazio sociale e politico per una forza comunista autonoma, combattiva, unita ed unitaria, che sappia essere il perno di una più vasta mobilitazione popolare a sinistra, che sappia parlare – tra gli altri – ai 200.000 della manifestazione contro la base di Vicenza, ai delegati sindacali che si sono battuti per il NO all’accordo di governo su Welfare e pensioni, ai 10 milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto il referendum sull’art.18. Auspichiamo che questo appello – anche attraverso incontri e momenti di discussione aperta – raccolga un’ampia adesione in ogni città, territorio, luogo di lavoro e di studio, ovunque vi siano un uomo, una donna, un ragazzo e una ragazza che non considerano il capitalismo l’orizzonte ultimo della civiltà umana.

Ciro ARGENTINO operaio Thyssen Krupp – Mariano TREVISAN comitato No Dal Molin Vicenza – Piero CORDOLA comitati No TAV Val di Susa – Francesco BACHIS comitato sardo “Gettiamo le Basi” – Filippo SUTERA comitato NO PONTE Messina – Giovanni PATANIA comitato di lotta Alluvionati Vibo Valentia – C. BALLISTRERI- D. PAOLONE – G. MODIC – F. LISAI – M. PUGGIONI operai e delegati Fiat Mirafiori – Margherita HACK astronoma – Domenico LOSURDO filosofo – Gianni VATTIMO filosofo – Luciano CANFORA filologo – Angelo D’ORSI storico – Marco BALDINI conduttore televisivo – Raffaele DE GRADA comandante partigiano, storico dell’arte – Alberto MASALA scrittore – VAURO vignettista – Enzo APICELLA vignettista – Giorgio GOBBI attore – Michele GIORGIO giornalista de il Manifesto – Manlio DINUCCI saggista, collaboratore de il Manifesto – Bebo STORTI attore – Gerardo GIANNONE operaio RSU Fiat Pomigliano d’Arco – Wladimiro GIACCHE’ economista – Marino SEVERINI musicista, “La Gang” – STATUTO gruppo musicale – Wilfredo CAIMMI partigiano, medaglia d’argento al valor militare – Ugo DOTTI docente letteratura Università Pavia – Guido OLDRINI docente filosofia Università Bologna – Mario GEYMONAT docente filosofia Università Venezia – Mario VEGETTI professore emerito università Pavia – Andrea CATONE presid. centro studi transizione al socialismo – Alessandro HOBEL storico del movimento operaio – Federico MARTINO docente Diritto Università Messina – Stefano AZZARA’ docente filosofia Università Urbino – Fabio MINAZZI docente filosofia della Scienza Università Lecce – Sergio RICALDONE partigiano, consiglio mondiale per la pace – Wasim DHAMASH docente lingua e letteratura araba Università Cagliari – Gigi LIVIO storico del teatro – Teresa PUGLIATTI docente storia dell’Arte Università Palermo – Maria Luisa SIMONE pittrice – Delfina TROMBONI storica, femminista – Silvia FERDINANDES presid. centro interculturale nativi ed immigranti “ALOUAN” – AEROFLOT gruppo musicale – Francesco ZARDO giornalista e scrittore – Carlo BENEDETTI giornalista – Siliano INNOCENTI segret. circolo Prc Breda Ansaldo Pistoia – Domenico MORO economista – Giusi MONTANINI direttivo reg.le CGIL Marche – Alberto BALIA musicista – Hallac SAMI comitato di solidarietà con il popolo palestinese – Fabio LIBRETTI operaio, direttivo FIOM Milano – Antonello TIDDIA operaio, RSU Carbosulcis Carbonia Iglesias – Dario GIUGLIANO docente filosofia Accademia delle Belle Arti Napoli – Fabio FROSINI docente storia della filosofia Università Urbino – Albino CANFORA docente analisi matematica Università Napoli – Francesco SAVERIO de BLASI docente analisi matematica Roma – Franco INGLESE astrofisico – Vito Francesco POLCARO astrofisico – Adele MONICA PATRIARCHI docente storia e filosofia Roma – Helene PARASKEVAIDES filologa classica – Laura CHIARANTINI docente biochimica Università Urbino – Micaela LATINI docente storia letteratura tedesca Università Cassino – Nico PERRONE docente di storia dell’America, Università di Bari – Alfonso NAPOLITANO regista teatrale – Tiziano TUSSI comitato nazionale ANPI – Luigi Alberto SANCHI ricercatore CNRS, Parigi – Omar Sheikh E. SUAD mediatrice interculturale – Sergio MANES editore – Orestis FLOROS medico CPT – Massimo MUNNO “Luzzi Clan” curva sud Cosenza calcio – Rolando GIAI-LEVRA direttore “Gramsci oggi” on line – Cristina CARPINELLI centro studi problemi transizione socialista – Vittorio GIOIELLO centro ricerca Fenomenologia e società – Vito Francesco POLCARO primo ricercatore INASF – Adriano AMIDEI MIGLIANO regista e critico cinematografico – Renato CAPUTO docente storia e filosofia Università Roma – Emanuela SUSCA docente sociologia Università Urbino – Alessandro VOLPONI docente filosofia Fermo – Maurizio BUDA operaio, RSU Iveco Torino – Giuseppe BRUNI operaio, RSU Magnetto Weels Torino – Mariano MASSARO delegato regionale ORSA Sicilia – Armando RUSSO operaio, RSU Bertone Torino – Luigi DOLCE operaio, Itca, Torino – Giovanni ZUNGRONE segretario FLM Uniti Torino – Ferruccio GALLO, Pino CAPOZZI operai, RSU Fiom Idea Institute Torino – Manola MAURINO RSU ASL 1, Torino – Roberto TESTERA operaio,Comau Torino – Pasquale AMBROGIO operaio, Frigostamp Torino – Nicola BORELLO operaio, RSU ItalCementi Vibo Valentia – Mirko CAROTTA dirigente sindacale Trentino Alto Adige – Paolo AMORUSO segretario SLC Caserta – Daniele ARCELLA, Antonio BELLOPEDE, Vincenzo MEROLA, Salvatore BRIGNOLA operai, RSU Ericsson Marconi Marcianise, Caserta – Mario MADDALONI operaio, RSU Filcem Napoletana Gas – Eugenio GIORDANO operaio, RSU Alenia Pomigliano D’Arco – Franco ROMANO operaio, RSU Filcams Napoli – Ilaria REGGIANI comitato precari Mantova – Franco BOSISIO operaio, RSU Sag Bergamo – Francesco FUMAROLA lavoratore Atesia Roma – Riccardo DE ANGELIS RSU Telecomitalia Roma – Federico GIUSTI RSU Comunedi Pisa

Written by eneaminghetti

aprile 18, 2008 at 10:04 am

>Odio gli indifferenti

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>Odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci – 11 febbraio 1917

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

11 febbraio 1917

Written by eneaminghetti

gennaio 11, 2008 at 11:32 am

>Gramsci sul capodanno

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>ODIO I CAPODANNI

1° gennaio 1916, di Antonio Gramsci, da Avanti! ed. torinese, rubrica “Sotto la mole”

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno piú nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.

Written by eneaminghetti

gennaio 11, 2008 at 11:29 am

>Occhetto insegna

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>
Leggetevi questa intervista ad Occhetto (segue sotto).
Bella vero?
Aveva ragione lui nel 91? Beh…se aveva ragione lui allora significa che nel 91 era in minoranza anche lui! Ma come? Ma non era il neo-segretario del Pds?
Beh c’è qualcosa che non torna. Esatto. Di certo non sto ad ascoltare le balle di Occhetto. Se oggi è rinsavito e ha deciso di condividere una serie di battaglie con noi, mi sta bene, ma che venga a dire che nel 91 aveva ragione lui è una balla di proporzioni clamorose e la nascita del Pd sta lì a dimostrarlo.

Ci pensavo ieri? Ma vi ricordate il 20 ottobre? La manifestazione che “non s’a da fà” secondo Mussi e Pecoraro Scanio e le dichiarazioni che si sono susseguite durante il pomeriggio quando si è capito che la manifestazione era riuscitissima. Non erano in pochi a sperare che a quella manifestazione ci fossero 4 gatti e magari che succedesse anche qualche bello scontro con la polizia o qualche bell’incidente, così si potevano isolare ancor di più i comunisti. Ma invece è andata esattamente nel senso opposto: la manifestazione è stata partecipatissima: gente vera, un sacco di gente vera, pacifica, desiderosa solo di far sentire la propria voce e il proprio malcontento per l’operato di un governo che ha votato. E un mare di bandiere comuniste. Solo quelle. Ed oggi gli stessi che avevano criticato la manifestazione sono gli stessi che pongono i diktat all’interno della “cosa rossa” e per il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, il fatto che Sd e Verdi non avessero aderito (e anzi avessero criticato) alla manifestazione non ha cambiato nulla, nemmeno negli equilibri.

Il partner più importante cui rivolgersi è Mussi, non il popolo del 20 ottobre.

OCCHETTO: «Perchè sono qui? Si realizza la “mia” svolta…»

di Andrea Carugati

su l’Unità del 09/12/2007

ACHILLE OCCHETTO

«Si realizza quello che ho proposto con la Svolta: togliere le falce e martello e fare una sinistra unita. Solo che ci si arriva con 20 anni di ritardo». Achille Occhetto si affaccia agli Stati generali della sinistra alla Fiera di Roma in punta di piedi. Saluta i vecchi compagni, ascolta attento Luciana Castellina. «Non mi aspettavo tanto fervore, vedo una forte richiesta di unità e la possibilità di rifondare una sinistra in Italia. Spero che i gruppi dirigenti non gettino a mare questa spinta della base per egoismi burocratici. Che non si faccia l’errore che ha commesso il Pd, una fusione a freddo».

Perché ha deciso di venire? «Forse nell’89 non ci siamo capiti bene, c’è stato un equivoco. Io avevo proposto una sinistra democratica, moderna e plurale. L’obiettivo era uscire da sinistra dalle rovine del comunismo, non entrare nel salotto buono della finanza».

Dunque lei vede qui il compimento del suo progetto? Eppure non ci sono i Ds…
«In realtà qui vedo una gran parte dei Ds, tanti vecchi compagni che mi dicono “finalmente ci rincontriamo”. E non sono quelli di Rifondazione. Il compimento ideale della svolta è una sinistra plurale, non un partito che non ha la sinistra nel suo nome».

Eppure, quasi 20 anni dopo, al battesimo della sinistra radicale c’è lei ma non Ingrao. Non le pare curioso?
«Ingrao sulla Stampa ha posto una questione giusta e sono perfettamente d’accordo con lui. Non aderirò finché non sarà sicuro che si fa davvero una cosa nuova, che il movimento ha un traguardo chiaro».

Come vede il rapporto tra la Sinistra e il governo?
«Le difficoltà al governo sono oggettive, ma sono dovute soprattutto al fatto che le elezioni non si sono vinte, ma pareggiate. Bisognerebbe prenderne atto».

E le parole di Bertinotti? La verifica di gennaio?
«Bisogna che la verifica sia effettiva, con una nuova fase del governo e un programma che sappia parlare alla sinistra. Quanto a Bertinotti, nelle sue parole non ho letto desideri di imboscate. Forse è stato troppo tranchant, ma ha colto un punto: la mediazione non avviene mai tra lavoro e capitale, come sarebbe ovvio. Basta che il capitale o i suoi circoli facciano la voce grossa che subito il governo ceda».

Chi vedrebbe come leader della Sinistra?
«Il ceppo più forte cui attingere è quello di Rifondazione, ma mi auguro che non venga da una tradizione di apparato. Serve un leader che interpreti una sinistra femminista, pacifista e ambientalista. Niki Vendola ha le caratteristiche più adatte».

La sinistra dovrà allearsi con il Pd o andare per conto suo?
«Io aedo ancora nel centrosinistra. Bisogna vedere se ci aede ancora il Pd: la continua richiesta di mani libere lascia credere che staino cercando strade diverse».

Written by eneaminghetti

dicembre 11, 2007 at 10:43 am